Anteprima Nazionale
MARIO MASSARI
Buonasera, Dottor Nisticò
Monologo Teatrale - Atto Unico
liberamente tratto dal romanzo “Buonasera, dottor Nisticò” di  Antonio Del Giudice
riduzione e adattamento di Mario Massari e Antonio Del Giudice
regia Martina GattoMario Massari
produzione Piccola Bottega Teatrale / Florian Metateatro Centro di Produzione
"Ho bisogno di aiuto. Fatti vivo". 112 sms inviati. Nessuna risposta. È da questa richiesta di aiuto che parte il flusso di coscienza di Mario Nisticò.
Lo scandalo per una "mazzetta" travolge la vita felice e cinica del dottore Nisticò, amministratore delegato della maggiore banca cittadina, punto di snodo di affari leciti e illeciti, luogo nevralgico per palazzinari e businessman chiacchierati, "palude" dove si decidono, nel bene e nel male, le sorti economiche ma anche le gerarchie sociali della città. Nisticò si dimette dalla carica e vede crollare di colpo il suo mondo di agio e privilegi. Il dottore sgombera da sé il campo senza dare battaglia, rinchiudendosi in casa come all’interno di una ridotta militare da dove aspetterà gli eventi. Nella sua prigione volontaria, solo fogli, libri, scarpe da dare in beneficenza. L’establishment si dimentica di lui, e le crepe si aprono anche in famiglia. 
«Narrazione brillante in cui è difficile non solidarizzare con il povero Nisticò, una figura ricorrente nel nostro tempo che nasce dal mutato rapporto tra potere e denaro.»  Giovanni Cedrone (la Repubblica)
«Colpisce la claustrofobia di un mondo tessuto da falsari, il cinismo, il racconto sorprendente dell’ipocrisia che sempre accompagna la corruzione. Tutti, figli, moglie, fratello e amanti puntano il dito contro Nisticò. Ma il pulpito è marcio.»  (Il Sole 24 ore)
Antonio Del Giudice è un pugliese errante, nato ad Andria nel 1949. Ha fatto per più di 40 anni il giornalista. Ha vissuto a Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove  attualmente abita. Ha lavorato alla Gazzetta del Mezzogiorno, a Paese sera, a Repubblica, all’Ora, all’Unità, alla Gazzetta di Mantova, al Centro d’Abruzzo, alla Domenica d’Abruzzo. Ha fatto la sua trafila da cronista a direttore (è stato per 11 anni direttore de "Il Centro") a suo rischio e pericolo, e da uomo libero. Adesso collabora con Blitzquotidiano scrivendo articoli di costume. Ha pubblicato nel 2009 La Pasqua bassa per San Paolo edizioni; nel 1987 aveva pubblicato un libro-intervista con Alex Zanotelli, il profetico missionario comboniano.

 

Mario Massari, inizia gli studi teatrali frequentando il progetto giovani del TSA, il ROY HART INTERNATIONAL ARTS CENTER e il master dell'Actors Studio. Nel 2000 entra a far parte del cast artistico della compagnia teatrale stabile PandemoniumTeatro. Per la TV lavora con RAISAT 2ooo, Rai Doc, Rai International, RAI fiction (Sotto Casa), RAIUNO (Don Matteo 5), RAITRE. Nel cinema partecipa a film quali “IL SESSO AGGIUNTO”, “CLORO”, “RITRATTO DAL VERO”, “LA VITTIMA”, “IL CONFESSIONALE” e “BAÙLL”. Presta la sua voce per la realizzazione di numerosi spot pubblicitari a carattere nazionale  e di audiolibri di narrativa classica. E' stato ospite del Consolato italiano  in Francia per la lettura de”I fioretti di Santo Francesco” e in Canada per la "Lectura Dantis".


 in occasione del centenario della Grande Guerra

 debutta il nuovo spettacolo del

Florian Metateatro

 Era una notte che pioveva

 uno spettacolo di Gian Marco Montesano

 collaborazione artistica Giulia Basel

con Giulia Basel e Umberto Marchesani

 voci fuori campo Massimo Vellaccio e  Flavia Valoppi

 registrazioni e fonica Globster

 luci Renato Barattucci

 montaggio video Oscar Strizzi

 organizzazione e promozione Ilaria Palmisano, Marilisa D'Amico

 rapporti con le scuole Emanuela D'Agostino

 grafica Antonio Stella

 una produzione Florian Metateatro Centro di Produzione 

 con la collaborazione della Biblioteca Provinciale G. D'Annunzio di Pescara

Nella locandina, dittico "...Montenero, alfine indietro nessuno tornò..." di Gian Marco Montesano nella mostra "Era una notte che pioveva"per Genus Bononiae

 

L'Italia e l'Europa in conflitto. Il riaffiorare, dopo cent'anni, di un ricordo lontano ma inquieto. La Prima Guerra Mondiale. Per fare memoria di una umanità spezzata, tragicamente sofferente ma quasi sempre assolutamente dignitosa. Una umanità assunta al maschile e al femminile nel contempo, visione non consueta trattandosi della “narrazione” di storie e fatti di soldati. Due interpreti, l'Alpino e la Crocerossina. Le lettere e i diari. E la luce emersa dall'orrore delle trincee: la scrittura. Milioni di lettere scritte da chi non sapeva scrivere, soldati d'ogni luogo che, nell'analfabetismo largamente diffuso lungo i 40.500 Km. di trincee scavate, torcendo e inventando grammatiche, mettendo in croce i segni di scrittura trovarono l'unico sollievo al peso tremendo della loro croce fisica. Donne colte, le Crocerossine, che scrivono diari per ricordare le sofferenze dei più umili tacendo le proprie, e i loro feriti che generano una scrittura come il balbettare del corpo sofferente, solo per “far sapere a casa” che "tutto va bene". Donne, uomini e 40 milioni di animali (cavalli, muli, cani e piccioni viaggiatori) morti in battaglia al servizio delle truppe. “Era una notte che pioveva e che tirava un forte vento” dice la canzone degli Alpini e così questo progetto che non pretende di soffiare come vento della Storia ma, semplicemente, ritornare puntuale come vento del ricordo.

 "Forse può essere utile a tutti noi italiani, ora che abbiamo sempre meno fiducia in noi stessi e nel nostro futuro, ricordare che un secolo fa l'Italia fu sottoposta alla prima grande prova della sua giovane storia. Poteva essere spazzata via; invece resistette. Dimostrò di non essere soltanto "un nome geografico", come credevano gli austriaci, ma una nazione" Aldo Cazzullo (La guerra dei nostri nonni)

 "Cesura storica o (e?) mattanza di massa; ultima guerra ottocentesca oppure prima contemporanea; oscena fucina di morte o evocatrice di modernità; fine di un Mondo oppure incipit epocale? (...)Quante parole (sì, è stato anche un conflitto di parole) generate e parlate e scritte intorno al sangue, al rivolgimento degli spazi fisici, alla mutazione degli orizzonti mentali di milioni di uomini e donne? e quante le interpretazioni di una guerra non a caso percepita e detta "Grande" già da chi allora la stava vivendo e ne moriva?" Enzo Fimiani ( Dizionario della Grande Guerra ) 



Andrea Cosentino

Not here not now
di e con Andrea Cosentino
regia Andrea Virgilio Franceschi
video Tommaso Abatescianni
Andrea Cosentino, una delle figure più interessanti della nostra scena, approfondisce quel rapporto tra l’arte e la vita che è il suo reale campo d’indagine e in “Not here, not now” ragiona – e ci fa ragionare – in modo straordinariamente intelligente sulle relazioni intercettabili tra performance, teatro ed esistenza umana. 
Il suo modo di operare è un modo giocoforza sghembo, rovesciato, comico. Un modo che accosta la cauta fisicità del mimo all’istrionismo dell’attore volutamente eccessivo, la sagace (auto)ironia del clown alla semplicità lirica della marionetta, le linee aperte del cabaret al racconto biografico della narrazione, il senso del ridicolo di Chaplin alla malinconia di Lecoq, la romanità di Petrolini alla prossemica burattinesca di Totò. Dietro tutto questo materiale si nasconde ovviamente lui, Cosentino. Con la sua storia di figlio e di padre. Con la sua tartassante indagine sul senso dell’essere artisti oggi. Un incontro/scontro da teatranti con la body art, il lazzo del clown che gioca con il martirio del corpo come testimonianza estrema.
Marina Abramovic dice: il teatro, il cinema, l'arte sono limitate, essere spettatori non è un'esperienza. L'esperienza bisogna viverla. “Theatre is very simple: in theatre a knife is fake and the blood is ketchup. In performance art a knife is a knife and ketchup is blood.” 
Il resoconto di un'esperienza attiva con Marina Abramovic, capace di capovolgere il silenzio del pubblico in risate a ripetizione. Un assolo da stand up comedian per spettatori fatalmente passivi e programmaticamente maltrattati, con pupazzi parrucche martelli di gomma e nasi finti. E ketchup, naturalmente. 
Andrea Cosentino proviene dalla scuola di Dario Fo presso la “Libera Università di Alcatraz” e dal teatro gestuale di Philippe Gaulier della scuola mimica e clownesca di Jacques Lecoq a Parigi. Dissacrante ironico, irriverente, tutto questo e molto altro è Andrea Cosentino, affermato attore, autore e regista di quella che il critico Nico Garrone aveva definito la non-scuola romana. Il suo recente spettacolo "Lourdes" è vincitore dell'importante concorso "I Teatri del Sacro 2015".


Bottegart

L'isola degli uomini
Monologo di narrazione che ripercorre la vera storia di quindici pescatori che nel giugno del 1944, sfidando la sorte, portarono in salvo ventisei ebrei sulla sponda Alleata del lago Trasimeno.
di e con Stefano Baffetti
luci Edoardo De Piccoli
audio Edoardo De Piccoli
una produzione Bottegart - bottega artigiana della creatività e dei diritti umani
In occasione del 71° Anniversario del Giorno della Liberazione, lo spettacolo rivelazione del Festival "Palla al Centro 2015", adatto a tutto il pubblico a partire dai 10 anni.
foto ATTILIO BRANCACCIO
"La realtà delle cose non esiste più. Esiste solo una fantasia. Quei ricordi che erano vivi, oggi chi ne sa più nulla di quei giorni terribili?..."
Isola Maggiore. Lago Trasimeno. Una comunità che da secoli, pur nelle difficoltà e nelle tribolazioni, vive in armonia seguendo ciò che il lago impone e ricevendo ciò che il lago può offrire. Un luogo dove tutto è semplice: anche l’eroismo. La storia di un prete e degli uomini di un piccolo borgo che affronteranno la tragedia della guerra nel tentativo di salvare un gruppo di ebrei destinati alla fucilazione.
Una piccola storia che sta sotto la Storia. Che compie la sua parabola senza disturbare. Una storia che si svolge senza fanfare, che assume il profilo dei suoi protagonisti: isolati attori senza pubblico, solo il sussurro delle onde ad indicarne il teatro.
In questo monologo Stefano Baffetti, mescolando narrazione, fantasia e testimonianze dirette, ricostruisce una vicenda carica di umanità e coraggio. La piccola storia di chi con innocenza e determinazione sfidò la ferocia nazifascista. Un racconto che non è solo memoria del passato, ma esempio e responsabilità per il futuro.


Teatro Zeta

Le nostre donne
di Eric Assous
con Edoardo Siravo, Manuele Morgese, Emanuele Salce
regia Livio Galassi
musiche originali di Patrizio Marrone
TESTO MAI RAPPRESENTATO IN ITALIA
Lo spettacolo ha avuto un enorme successo in Francia nell’ultima stagione grazie all’intreccio brillante e accattivante del testo, e alla partecipazione di tre grandi interpreti come Jean Reno, Richard Berry, Patrick Braoudé. Si tratta di una commedia brillante tutta al maschile. Tre sono i personaggi che dipingono dal loro mondo, maschile appunto, il mondo femminile, in un intreccio ritmato e incalzante.
Una sera Max e Paul si trovano a casa di Max per la solita partita a carte. Stanno aspettando Simon che è in ritardo. Quando quest’ultimo arriva, sconvolto, confessa di aver strangolato la moglie e cerca negli amici un alibi. Opposte sono le posizioni di Max e Paul: più intransigente il primo, più indulgente il secondo. I tre amici parlano per tutta la notte delle rispettive mogli, della loro amicizia fino a che Simon – dopo tre pasticche di tranquillante – crolla sul divano. I due amici discutono se mentire alla giustizia per proteggere l’amico oppure denunciarlo. Quando Simon si sveglia, il telefono squilla: è la polizia...
Eric Assous è un regista, sceneggiatore, dialoghista e autore, nato a Tunisi nel 1956, vive in Francia. E' autore di 80 radiodrammi per il canale France. Ha scritto numerosi spettacoli e sceneggiature per la televisione e per il cinema. Vincitore di numerosi premi tra cui Il Molière.
Lo spettacolo ha debuttato il 9 aprile a L'Aquila e arriva a Pescara dopo aver fatto tappa al Teatro Nazionale della Toscana. La prossima stagione ripartirà da Roma e Bologna per una tournée che lo porterà in diverse piazze italiane.


 

Teatro Libero di Palermo
Contrazioni
Contractions
di Mike Bartlett
traduzione Monica Capuani
regia Luca Mazzone
con Viviana Lombardo e Silvia Scuderi
spazio scenico e paesaggio sonoro Luca Mazzone
progetto e realizzazione video Pietro Vaglica
luci Fiorenza Dado e Gabriele Circo
 
Nella società del controllo, della sicurezza, dell’asetticità delle relazioni professionali e 
lavorative, cosa può mettere in terribile crisi una multinazionale? Saranno forse le relazioni 
amichevoli o amorose tra i propri dipendenti a generare criticità da risolvere e affrontare? 
Una manager e una sottoposta, una serie d’interviste, una morbosa curiosità che sconfina 
nell’ossessiva e ingombrante presenza voyeuristica dell’azienda nella vita privata dei 
propri lavoratori. Tutto questo è “Contractions” un testo asciutto e crudo del giovane e 
affermato drammaturgo inglese Mike Bartlett (Oxford 1980) – prodotto più volte dalla 
Royal Court e dal National Theatre di Londra – che mette due donne una di fronte all’altra, 
in una sorta di intervista dove una è carnefice, l'altra vittima. È un gioco di sottile tensione 
tra le due che, seppure nella consapevolezza che il potere trasforma le persone a 
prescindere dalla loro cultura, dal loro credo, dal loro genere sessuale, mette in luce 
aspetti inconsueti delle relative femminilità che si incrociano, si scontrano. L’una, la 
manager, è anonima, si muove in una grigia normalità che si mostra nella sua oscena 
perversione figlia di un meccanismo che stritola e che si impadronisce delle identità di 
ciascuno. Una normalità cui crede fino in fondo, cui ritiene necessario soggiogare la 
dipendente che ha di fronte. Lo fa per il suo bene. L’altra, Emma, la dipendente è come se 
attraversasse le quattordici scene che scandiscono il racconto compiendo un percorso di 
sacrificio all’altare dell’utile all’azienda, vendendo la propria anima per la certezza di un 
posto di lavoro, oltrepassando ogni limite, e muovendosi sul crinale di coloro che sono o 
dentro o fuori.
“Contrazioni” è una scansione per lunghi fotogrammi che raccontano, per frammenti e 
sempre in un dispositivo dialogico tra i due personaggi, tre anni durante i quali la 
sottoposta, Emma, passa da una situazione iniziale d’indipendenza a una totale 
trasformazione, financo ad una condizione di complicità. Mostra nella sua atrocità 
l’invadenza delle grandi compagnie e della società dell’efficienza quanto non vi sia più 
spazio per l’intimità, per il piccolo mondo privato. Ma non è tutto realismo quello tagliato 
dalle lame affilate della scrittura di Bartlett, c’è del paradosso, del grottesco nella 
scansione delle interviste: quello dell’inverosimile e assoluta freddezza dei meccanismi 
privi di umanità, oltreché una sottile linea di seduzione, di possesso tra una donna e l’altra. 
(Luca Mazzone)
Mike Bartlett, n
ato nel 1980 a Oxford, in Inghilterra, dopo gli studi alla Abingdon School, ha studiato Inglese e 
Teatro all’Università di Leeds. Nel luglio del 2005, Bartlett prende parte al concorso “New Voices” 
promosso dall’Old Vic Theatre di Londra, e in ventiquattro ore monta la pièce “Comfort”.
Il suo lavoro radiofonico, Not talking
 vince nel 2006 il Tinniswood 
Award e il Imison Award for a drama, per la nuova drammaturgia, andando in onda in radio nel 
2007. Nel maggio dello stesso anno, diviene drammaturgo in residenza al Royal Court Theatre di 
Londra, debuttando con My Child. La sua pièce “Artefacts”, viene messa in scena al Bush Theatre 
a Londra nel 2008, prima di una tournée nazionale, prodotta da Nabokov, specializzato nella nuova 
drammaturgia. Inoltre, nel 2008, adatta il radiodramma “Love Contract” per il Royal Court Theatre.
Nel 2009, Bartlett’s mette in scena “Cock”, in prima sempre alla Royal Court, pièce che nel 2010 
vince il Laurence Olivier Award. Nell’estate del 2010, i lavori di Bartlett vengono messi in scena per 
la prima volta al National Theatre. Earthquakes in London, diretto da Rupert Goold, viene descritto 
da Michael Billingyon su The Guardian, come un «epica ed espansiva pièce sui cambiamenti 
climatici, la corruzione delle corporate, dei padri e dei figli». Charles Spencer del Daily Telegraph 
lo definisce un triller ricco d’impeto di emozione, inventiva, umorismo ed emozione cruda e pura. A 
partire dal 2010 le sue pièce vengono prodotto e messe inscena sempre più frequentemente dalla 
Royal Court e dal National Theatre di Londra. E nel 2012, Bartlett debutta come sceneggiatore 
televisivo con in relazione a The Town, con il quale ottiene un premio, BAFTA, per la categoria TV 
Craft. Dopo aver ottenuto la sala grande del National Theatre per il suo 13, nell’ottobre del 2013 
vince il Best New Play proprio del National Theatre, consacrando il suo successo come nuovo 
drammaturgo emergente del Regno Unito.


Teatro delle Albe

Amore e anarchia
di Luigi Dadina e Laura Gambi
con Luigi Dadina e Michela Maragnoni

scene e luci Pietro Fenati e Elvira Mascanzoni 

suoni Alessandro Renda        direzione tecnica Enrico Isola

realizzazione scene Fabio Ceroni e Danilo Maniscalco    costumi Lubiana Zaffi

consulenza e ricerca storica Massimo Ortalli Archivio storico della FAI e Cristina Valenti Università di Bologna 

regia Luigi Dadina

 

 

sabato 19 marzo 2016 ore 18.00 per "Sotto la tenda dell'avanguardia"

presso  laFeltrinelli  incontro-presentazione del libro "Amore e Anarchia" Titivillus edizioni,

con la curatrice Cristina Valenti e con Massimo Ortalli e la partecipazione di Luigi Dadina e Michela Marangoni

conduce Pippo Di Marca, codirettore artistico del Florian Metateatro

In occasione dell'anniversario della Comune di Parigi proclamata il 18 marzo 1871.

"Provarono a rovesciare il mondo. A renderlo più umano e abitabile. Furono perseguitati dalle polizie. Accusati di crimini orrendi. Erano gli anarchici, sempre in marcia, in fuga, nel fango, nel Nuovo Mondo, in cerca del sol dell'avvenire che avrebbe illuminati il fin del fosco secolo morente.
O, semplicemente, di una società più giusta. A due di loro è dedicato uno spettacolo d'ombra e bagliori"  (Massimo Marino)
 
Maria Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi: nati entrambi nel centro storico di Ravenna, lui il 30 agosto del 1849, lei nella notte del 21 giugno del 1852; Da quasi cent'anni abitano, non visti, nella scuola di S. Bartolo, vicino a Ravenna. Nella loro infanzia e adolescenza la città, ma l'Italia intera, è attraversata da sconvolgimenti politici e umani: le imprese garibaldine, l'ideale repubblicano, la caduta del governo dei papi, l'unità d'Italia, l'internazionalismo anarchico e socialista sono solo alcuni degli elementi che segnano la crescita dei due ravennati. Minguzzi Luisa è sarta. “...silenziosa, attenta, bravissima, con tutti quelli spilli tenuti fra le labbra e via via tolti per segnare i difetti, per stringere, per attillare, ... pronta a ubbedire, o meglio a rispettare il proprio lavoro di artigiana ineccepibile”, così la immagina Gianna Manzini nel romanzo dedicato al padre anarchico. Pezzi Francesco, intelligente, sguardo mite con una luce di collera, di modi gentili e di briosa vivacità, conseguito il diploma di ragioniere viene assunto alla Cassa di Risparmio di Ravenna. Giovanissimi si incontrano, si innamorano e si infiammano, senza possibilità di ripensamento, per l'idea dell'anarchia, che guiderà le scelte e i pensieri di tutta la loro vita successiva fino alla morte. Tra militanza, fughe, confino e carcere, sono la coppia che accoglie gli amici anarchici, nelle case sempre aperte di Firenze, Lugano, Napoli, Buenos Aires, Londra. Primi fra tutti Andrea Costa, Anna Kuliscioff ed Enrico Malatesta, che fu anche il terzo nella loro relazione per qualche anno. Moriranno a Firenze, lei nel 1911, cieca e piegata nella salute dopo il confino a Orbetello, lui suicida nel 1917, in un boschetto alle Cascine. In un biglietto scrive il disgusto “fino alla nausea di questo impasto di fango che si chiama mondo e della vigliaccheria degli uomini che lo subiscono”. La Minguzzi, autrice del Manifesto a tutte le operaie d'Italia, sarà inarrestabile promotrice dell'idea anarchica tra le donne, oratrice in pubblico e nei comizi.
La limpida anarchica e l’infaticabile organizzatore sono ancora assieme oggi, sempre, giorno dopo giorno, continuano a vivere nella scuola di San Bartolo. Il mondo è filtrato dalle voci dei bambini che la mattina occupano i banchi e i corridoi. Ogni notte sono soli, e senza requie continuano a ripercorrere le vicende di allora e quelle di oggi, in un dialogo mai interrotto in vita, ma ancora ardente, ancora in cerca di risposte. 
"Il 18 marzo 1871 il popolo parigino insorge contro il governo autoritario e restauratore di Thiers, accusandolo di voler cedere la sovranità cittadina alla restaurazione monarchica e all'esercito prusSiano. Nella gloriosa Parigi, divenuta un laboratorio di libertà e autogestione, si approntano le prime proposte di riforme sociali intese ad elevare lo status del proletariato francese. La Comune di Parigi, terribilmente repressa dalle truppe reazionarie del governo di Versailles (saranno ventimila i parigini fucilati indiscriminatamente e ancora di più quelli costretti all'esilio o deportati nelle colonie), diventerà un simbolo di emancipazione per tutto il proletariato europeo. E anarchici, socialisti, internazionalisti continueranno a celebrarne il ricordo, sfidando la censura e la violenza delle autorità, pronte a reprimere e incarcerare chiunque ne pronunciasse anche solo il nome. Gli Internazionalisti italiani, e con loro Francesco e la Gigia, ne diffonderanno ed esalteranno il ricordo ogni 18 marzo, data che nell'immaginario sovversivo sostituirà quella della Rivoluzione francese". (Cristina Valenti) 


Teatro Libero/Indigena Teatro
Sissy boy (la conferenza del signor S.B .)
di Franca De Angelis
con Galliano Mariani
regia Anna Cianca
Un testo sull'identità di genere, ispirato ad una storia vera, della scrittrice e sceneggiatrice Franca De Angelis, un'eccellenza pescarese nel campo del cinema e della televisione, interpretato da Galliano Mariani attore-danzatore che ha al suo attivo collaborazioni con registi quali Maurizio Scaparro, Pino Micol, Enrico Frattaroli, Ian Fabre fino a Bob Wilson.
Il termine inglese sissy deriva da sister (sorella) e, associato a boy (ragazzo), sta ad indicare, con una connotazione negativa, un bambino o ragazzo che si pone in contrasto alle tradizionali regole di condotta del sesso di appartenenza. Il termine, sissyphobia denota una reazione culturale negativa verso i "sissy boys", denominazione ‘americana’, un po’ scherzosa e un po’ maliziosa, per indicare i cosiddetti ‘maschi femmina’: 
A Sergio piacciono le bambole.  A Sergio piace Maga Maghella, il suo meraviglioso costume e la sua mirabolante bacchetta magica. A Sergio batte forte il cuore quando il suo compagno di liceo gli chiede un appuntamento nel parco. A Sergio piace scrivere poesie. Ma arriva il giorno in cui Sergio non gioca più con le bambole e non scrive più poesie.
La storia di Sergio, tristemente ispirata da un fatto di cronaca, è la storia di chi ha perduto i sogni, o meglio, di chi è stato costretto a perderli. Da quel momento in poi, la sua esistenza diventa una costante e faticosa lotta per riappropriarsi della propria personalità e dei propri desideri. Fra pesanti sconfitte e qualche piccola vittoria, ora Sergio pensa di essere guarito dagli effetti della devastante terapia. Ma, ripercorrendo con il pubblico la propria vita, scivolerà in trappole emotive e la sua storia approderà verso un esito inaspettato. 
Il testo è liberamente ispirato alla storia vera di Kirk Andrew Murphy, il quale nel 1974 fu sottoposto ad un esperimento condotto dallo psicologo George Rekers dell’Università di Los Angeles, California, volto a correggere i comportamenti effeminati nei bambini maschi prevenendo la loro eventuale omosessualità.
"Sissy Boy" è un progetto che nasce da una profonda urgenza e cioè quella di provare a dare una risposta alle seguenti domande: che adulto potrà mai essere quel bambino a cui sono stati soffocati i sentimenti, i sogni e le passioni? Come potrà reagire di fronte ad una manipolazione talmente violenta da indurlo a disprezzare se stesso e tutto ciò che desidera per il resto della sua vita? Probabilmente, quel bambino da adulto sarà una grande talpa, l’animale che vive sotto terra, scava gallerie e raramente esce in superficie. Quell’adulto vuole essere invisibile, non ha desideri e sfugge il bene per sé. Abbiamo scelto di raccontare questa vicenda attraverso un monologo: un uomo, solo sulla scena, che racconta la sua vita. Un uomo solo, perché è stato un bambino e un adolescente solo. Intorno a lui pochi oggetti che lo legano simbolicamente a chi lo haamato, offeso, capito, deriso." (Anna Cianca)
La pièce, scritta da un’ispirata Franca De Angelis, alterna patimenti a sorrisi, violenze psicologiche e sogni soffocati e, grazie all'interpretazione di Galliano Mariani e alla regia di Anna Cianca, regala momenti autentici di sorriso, anche di risa, come pure una profonda malinconia non priva di speranza
Franca De Angelis, autrice nata a Pescara, si è poi trasferita a Roma dove vive e lavora. Dal 1995 è sceneggiatrice per il cinema e la televisione. Ha collaborato con registi come Carlo Lizzani e Giuliano Montaldo. Il cortometraggio da lei scritto “Senza parole” ha rappresentato l’Italia agli Oscar nel 1997 e ha ricevuto il David di Donatello. Per le sale è autrice fra l’altro del film “La vespa e la regina”, con Claudia Gerini. Per la televisione ha firmato numerose miniserie per la Rai e per Mediaset come “Nessuno Escluso”(premio Italia), “Maria José - L’ultima regina” (grolla d’oro), “Le cinque giornate di Milano”, “Storia di guerra e d’amicizia”, “Il bell’Antonio”, “Exodus – Il sogno di Ada” (nomination per la sceneggatura Magnolia festival di Shangai), “Don Zeno, l’uomo di Nomadelfia” (premio Signis), “Sissi”, “Rudy Valentino: la leggenda”.
Per il teatro, oltre a "Sissy Boy", ha scritto la commedia musicale "I ragazzi di don Zeno" per la regia di Anna Cianca e "Gli amici degli amici", liberamente ispirato al'omonimo racconto di H.James, per la regia di Christian Angeli.


Fontemaggiore

Enrico e Quinto
da William Shakespeare
con Stefano Cipiciani
regia Massimiliano Civica
 
Un uomo in scena racconta il teatro attraverso la sua vita, e la sua vita attraverso il teatro.
L’Enrico V di Shakespeare, la passione per il tiro con l’arco, gli inizi in teatro come macchinista, le passeggiate lungo la spiaggia per raccogliere pezzi di legno da intagliare, l’ “obbligo” alla povertà, al sacrificio e al ricorso alla fantasia per chiunque voglia fare della propria passione un lavoro.
La storia prende spunto dalle vicende di ENRICO V, re inglese che diventò famoso per aver conquistato la Francia nella famosa battaglia di Azincourt. Nello spettacolo a raccontare la storia è un arciere del re: un fatto storico raccontato dal "basso" , da un uomo, uno dei tanti , che si trova ad essere attore suo malgrado. La storia di Quinto l'arciere che, con le sue paure e la sua ingenua schiettezza, combatte a fianco del suo re si interseca con la storia dell'attore, Stefano, che ci racconta il suo lavoro in teatro fatto di cantinelle, chiodi, sudore e passione per un lavoro così particolare.
Shakespeare nel prologo di ENRICO V fa esplicitare al coro il mistero della finzione teatrale: "supplite, signori, con la vostra immaginazione alle nostre imperfezioni.....può questa ristretta pedana contenere la sterminata campagna di Francia?... dovrete ora equipaggiare i nostri re, spostarli qua e la' , e condensare le imprese di molti anni nel volgere di una clessidra....."
E' quello che accade anche in questo spettacolo, proposto con i mezzi "poveri" del teatro popolare, che stuzzicando la nostra immaginazione ci riporta nel tempo e nello spazio del racconto.
Nello spettacolo, per la regia di Massimiliano Civica, uno dei più apprezzati registi di questi anni (ricordiamo tra i vari premi, l'ultimo PREMIO UBU del 2015 per l'ALCESTI) ritroviamo anche il discorso di San Crispino reso famoso da Kenneth Branagh nel suo film Enrico V.
Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale con sede a Perugia, di cui Stefano Cipiciani è Presidente e Direttore Artistico, è un organismo con vocazione territoriale regionale che si occupa della produzione e della diffusione della nuova drammaturgia, su tutto il territorio nazionale.
I suoi destinatari privilegiati sono l’infanzia e i giovani, ma la sua storia lo mette in contatto anche con coloro i quali, giovani o adulti, sono interessati alla cultura teatrale declinata in spettacoli, eventi, letture, formazione.


OperaTeatro
L'impresario teatrale
Der Schauspieldirektor 
Commedia in Musica di W. A. Mozart
Libretto di Johan Gottlieb Stephanie Jr
PERSONAGGI E INTERPRETI
(in ordine di apparizione)
Frank Impresario Massimo Paolucci
Buff Massimo Vellaccio
Eiler Banchiere Tommaso Trozzi
Madame Pfeil Eliana De Marinis
Madame Krone Giulia Basel
Herz Umberto Marchesani
Madame Vogelsang Irida Mero
Signor Vogelsang Giovanni Di Deo (tenore)
Madame Herz Annalisa Di Ciccio (soprano)
Mademoiselle Silberklang Mariangela Polidoro (soprano)
al Pianoforte M° Romano Silli
Regia Giulia Basel
Un impresario teatrale deve formare una compagnia per uno spettacolo a Salisburgo, ma la scelta di attori e cantanti si rivela più difficile del previsto perché tutte le donne della compagnia pretendono di essere la "primadonna". Infine l'impresario Frank, aiutato dal simpatico Buff, riporta l'armonia sul palcoscenico.
L'opera, composta in sole due settimane, venne commissionata a Mozart dalla corte imperiale: essa venne rappresentata a Schönbrunn in occasione della visita del Governatore dei Paesi Bassi, il duca di Sassonia-Teschen, di sua moglie Marie Christine (sorella dell'imperatore Giuseppe II) e di Stanislas Poniatowsky, nipote del re di Polonia. 
 
Teatro e canto lirico per la compagnia dal nome programmatico OperaTeatro. Ci propone una divertente opera di Mozart che, con un brillante testo di teatro nel teatro, mette alla berlina vezzi e debolezze di attori e cantanti del teatro e dell'opera buffa.


Emanuele Salce

Mumble Mumble ovvero confessioni di un orfano d'arte
di Emanuele Salce e Andrea Pergolari
con Emanuele Salce Paolo Giommarelli

 

Un infuriare di ricordi surreali, grotteschi, ironici. Un intreccio inestricabile di cultura e provocazione, di attese insoddisfatte e di traiettorie felicemente impreviste. Un paradossale e compiaciuto autodafé laico.  “Mumble Mumble” è una tragicomica confessione di un orfano d'arte, la narrazione divertente di due funerali... e mezzo. Emanuele Salce, con l'ironia e la verve che lo caratterizzano, è il narratore di tre morti: quella di suo padre naturale, il regista Luciano Salce, quella del secondo marito di sua madre e suo padre adottivo, Vittorio Gassman e, infine, quella metaforica: la sua.
Nelle prove in camerino di un teatro parrocchiale di una sperduta provincia italiana, Emanuele Salce cerca di conciliare la verità assoluta che trova nelle pagine di Dostoevskij, ai momenti più grotteschi dei funerali dei suoi padri, dove spiccano personaggi singolari, tra presenzialisti e volti bizzarri. Lo spettacolo si chiude con il racconto dell’incontro con un’irresistibile bionda australiana ed una sciagurata boccetta di lassativi. Un tentativo di liberazione da un peso (non solo simbolico) che diventa una morte metaforica, una vera e propria catarsi. A fare da contraltare l'ironico e discreto personaggio-spettatore Paolo Giommarelli, ora complice, ora provocatore di una confessione che narra di personaggi pubblici e allo stesso tempo teneramente privati. La testimonianza di un orfano d’arte partecipe di un mondo assurdamente logico.

 

Sul palco Emanuele Salce, insieme a Paolo Giommarelli, dà vita ad un racconto ironico, dissacrante, intimo e coraggioso, replicato con successo in diverse piazze italiane.

 

".....il monologo ha una profonda radice comica, o meglio umoristica, meglio ancora sarcastica - tale da poterlo accostare a ... poniamo Carlo Verdone in Tali e Quali o Roberto Benigni in Cioni Mario o Fiorello, showman che non si schiera da nessuna parte". Franco Cordelli - Corriere della Sera (28 gennaio 2016)
Dopo lo spettacolo, per "Incontri a teatro" seguirà un colloquio con la compagnia a cura di Marina Moretti


torna in scena a grande richiesta

Florian Metateatro
Vecchi tempi
di Harold Pinter (Premio Nobel per la Letteratura 2005)
traduzione di Alessandra Serra
regia Pippo Di Marca
 
personaggi e interpreti:
Deeley Fabrizio Croci
Kate Francesca Fava
Anna Anna Paola Vellaccio 
scene e costumi Laboratorio Florian Metateatro, assistente alla regia Diletta Buschi, direttrice di scena Marilisa D'Amico
luci Renato Barattucci, registrazioni audio Globster, grafica Antonio Stella
organizzazione Ilaria Palmisano, produzione Giulia Basel e Massimo Vellaccio
foto di Roberta Verzella
"Un capolavoro. Pippo Di Marca realizza il suo spettacolo più bello... " Franco Cordelli, Corriere della Sera 31/12/15
 

Un uomo e una donna vivono da soli in una casa solitaria vicino al mare e una sera aspettano a cena una vecchia amica di lei. Non si vedono da vent’anni. Con l’uomo di lei non si conoscono. Quando l’amica arriva si crea un triangolo apparentemente classico. In realtà è come se tutto il loro mondo, sia della coppia che dell’ospite, deflagrasse. Niente è più come prima. Nessuna cosa o impressione o ricordo è certa. Tutto è ambiguo, vagamente panico. E’ come se la loro vita, i loro ricordi fossero inconsistenti, improbabili, addirittura irreali, cioè impossibili, come se tutto si sfarinasse e andasse in rovina irreparabilmente, se il sentimento, qualunque sentimento, non potesse avere più forma o senso o credibilità o dicibilità. E il finale è sospeso, come le loro vite: sospeso dalla stessa vita: un rebus che non ha conclusione. Lunghi silenzi, pause, lapsus, scene montate come flashback cinematografici: dietro tutto questo si nasconde l’angoscia dei tre personaggi sopraffatti dallo scorrere del tempo, intrappolati nella stanza dove si svolge il dramma. Celata dietro l’apparenza di una innocente e realistica commedia, mano a mano il testo offre uno scenario diverso in cui, attraverso l'uso del linguaggio, emerge tutta la drammaticità dell’incomunicabilità fra i personaggi. Nei fitti dialoghi, carichi di ambiguità, di pause e di silenzi, si scorgono tratti del teatro beckettiano, così come si percepisce l'anticipazione di tanta parte della più recente produzione drammaturgica. 

Pippo di Marca, “uno dei migliori registi teatrali della sua/mia generazione, ma un raffinato teorico, veramente metateatrale, della scena contemporanea”, come scriveva Renato Niccolini, ha trattato il testo con uno sguardo indagatore, da filologo, scavando nel senso delle parole come un archeologo, fino a svelare la condensa di oscurità e di nevrosi che investe i personaggi, incapaci di condividere un ricordo in maniera oggettiva. Ma come scrive Di Marca nelle note di regia "Il teatro, purtroppo, o per fortuna, è anche altro: è corpo. Il corpo in cui ogni volta si incarna la parola. La fa diventare gesto, musica, “visione” dal vivo, passione, sentimento, azione, delirio, finzione ecc... I corpi, le “persone”, imprescindibili, dei tre validi interpreti, Fabrizio Croci, Francesca Fava e Anna Paola Vellaccio. Partecipi, sensibili, appassionati, compresi, in una “sfida” certamente non facile."

Lo spettacolo ha debuttato il 19 e 20 dicembre al Florian Espace di Pescara ed è stato definito da Franco Cordelli sul Corriere della Sera "Un capolavoro. Pippo Di Marca realizza il suo spettacolo più bello... Vecchi Tempi di Pippo Di Marca ha una qualità che cancella dubbi sull'opera di Pinter: il suo spettacolo è glaciale ma mai freddo... Poi, Di Marca dispone di tre attori di somma eloquenza e plasticità... ." 
 
Pippo di Marca, fondatore del gruppo Meta-Teatro (oggi confluito nel Florian Metateatro), appartiene alla seconda generazione dell'avanguardia teatrale italiana insieme a Nanni, Perlini, Vasilicò, Cecchi, Carella, ai Magazzini e alla Gaia Scienza dei primi anni Settanta. Ha lavorato con Carmelo Bene, Leo de Berardinis, il Living e sulla scia di sfide e confronti con Lautréamont, Genet, Duchamp, Joyce, Shakespeare, Bernhard, Gadda, Sanguineti, Kantor, Bausch, Beckett, Pirandello, Bolaño ha costruito le tappe di un continuum unico e personalissimo (oltre sessanta spettacoli e decine di performance in Italia e nel mondo) portando a compiuta sintesi artistica un'esperienza ininterrotta di oltre quarant'anni. 
«Le prime rappresentazioni delle opere di Harold Pinter furono massacrate dai critici. Ad eccezione di Harold Hobson, scrissero tutti che era un autore eccentrico, inaccettabile, incomprensibile, che non aveva nulla da dire. Oggi forse è l'autore più rappresentato al mondo ma, come dice egli stesso, «Adesso sono diventato comprensibile, accettabile, eppure le mie commedie sono sempre le stesse di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». (Alessandra Serra). I suoi primi lavori sono considerati fra i capolavori del teatro dell'assurdo.
Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura.

Arbalete/nO (Dance first. Think later)
CIAULAtotheMOON
da Luigi Pirandello
ideazione e regia di Elena Gigliotti
con Elena Gigliotti e Giuseppe Amato
coreografie Claudia Monti   costumi Giovanna Stinga
luci Dario Aita
Questa è la storia di Ciaula che scopre la luna. E di sua madre. Che ha smesso di cullarlo, appena si è fatta notte. Nell’atmosfera asfissiante di un sud mai deciso, un matrimonio ancora acerbo, va a finire. E ne rimane il frutto. Un figlio. Mezzo scemo. Che rimane così. Una donna gli muore nei sogni, nei pensieri, e nei perché. Nelle fantasie. Nelle sue canzoni stonate. E quando le luci si spengono, si invocano disperate carezze. E occhi grandi. E amore. E mamma. Che abbandona. E non torna più. Questa è la storia delle nostre radici. In quanto non raccontiamo altro che vita. Madri, padri, il sud che ci riempie, che canta di noi. E non poniamo limiti. Nessun limite al corpo. Nessun limite alla musica che siamo. Nessun limite alla parola che si confonde. Nessun limite alla mancanza di senso. Una danza di corpi e parole dagli anni 50 al tempo che non esiste. Dalle canzonette di Claudio Villa, alla musica della lingua. Verso una Verità dalle mille facce. Che, proprio per questo, non sarà mai Verità. 
Nello spettacolo parola e danza non si sovrappongono, ma creano, una di fronte all’altra, tensioni, relazioni, associazioni. La parola non è più vissuta come categoria verbale ma come una categoria fisica. Dall’incontro tra i corpi nascono, pian piano, scambi di pensieri, azioni, respiri, dialoghi gestuali, frammenti di immagini, intenti a cercarsi e combinarsi tra loro, e dal profondo indistinto, come in sogno, alcune immagini emergono e raggiungono lo spettatore.
 
....“Ciaula to the moon” è una storia liberamente ispirata alla novella di Pirandello ”Ciaula scopre la Luna” e delicatamente combinata all’esperienza di vita di una donna del Sud. Questa donna, è mia nonna. Attraverso una serie di interviste, filmini rubati, racconti nella notte, abbiamo fuso lingua e corpo, dando vita a momenti di realismo, in un presente illuminato dalle luci di un vecchio neon, e momenti “altri”, del passato, più astratti, in cui il corpo riassume i ricordi, e la luce si affievolisce attraverso il calore di una ribalta “povera”, che regala nostalgia. La musica, è protagonista quanto gli interpreti. Quanto il corpo. Quanto la parola. Ci è infatti difficile trovare una categoria teatrale per questa nostra creazione. Amiamo definire CIAULAtotheMoon, un viaggio. Nella stanza piena di vecchi giocattoli di un bambino abbandonato che bambino più non è. Incubi e sogni fanno visita. Fino alla fine." (Elena Gigliotti)
 
Il gruppo nO (Dance first. Think later) è originariamente formato da giovani attori diplomati presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova.  Nel 2010 con Claudia Monti è nato il primo lavoro, Ballata della necessità, il secondo spettacolo, Non vedo l’ora!, è stato realizzato nel 2011 ed è distribuito dall’associazione Arbalete (Genova). Nel 2012 - 2013, lo spettacolo Ciaulatothemoon#studio è vincitore alle selezioni del Napoli Fringe FestivalIl corto teatrale “Ciaulatothemoon#studio”, è vincitore del concorso: “Il reale nell’immateriale” (Associazione Sassetti cultura, Statart, Accademia di Belle Arti di Brera, col patrocinio del Comune di Milano). E’ inoltre vincitore alle selezioni di “ALTOFEST!” (Napoli). Un frame fotografico dello stesso video, è vincitore del concorso “Bloom2, alla conquista dello spazio pubblico” (Vicenza). 
Nel 2013, lo spettacolo Trenofermo a- Katzelamcher , ideato da Dario Aita, regia di Dario Aita ed Elena Gigliotti, coreografie di Elena Gigliotti, è Segnalazione Speciale al Premio Scenario 2013. Nel 2014, va in scena LapènLapèn (uno studio), regia di Elena Gigliotti, coreografie Claudia Monti, per la produzione di: Teatro Florian Stabile d’innovazione e Compagnia Arbalete, presso Nuovo Cinema Palazzo, Roma.

MaDiMi

Faust Marlowe Burlesque
di Aldo Trionfo e Lorenzo Salveti
con Massimo Di Michele e Federica Rosellini

regia Massimo Di Michele

costumi Alessandro Lai
disegno luci Alessandro Carletti
scene e aiuto regia Cristina Gardumi
foto Cristina Gardumi

 

Faust e Mefistofele, una storia di immortalità e dannazione, perdono e salvezza eterna. Una storia che, almeno per sentito dire, quasi tutti conoscono. Non molti, invece, conoscono la versione che due grandi autori di teatro, Aldo Trionfo e Lorenzo Salveti, hanno scritto nel 1976 per due monumenti del palcoscenico come Carmelo Bene e Franco Branciaroli. Un testo arduo, ricco di inserti (che racchiude parti di Christopher Marlowe e di Wolfgang Goethe, ma anche di Cime Tempestose e di altre opere letterarie), rappresentato solo da Bene e Branciaroli e poi mai più messo in scena. 

Gli autori elaborano un gioco straordinario nel quale i personaggi – Faust e Mefistofele – finiscono per rappresentare le due facce della stessa medaglia. La dannazione di Faust, spintosi troppo in là nella ricerca dell'immortalità, è anche la solitudine di Mefistofele. Il gioco – fatto di scherzi divertiti, inversioni di genere, ammiccamenti di seduzione reciproca, oscillante fra il disperante e il travolgente – invischia entrambi i personaggi in una progressiva crisi di identità. La dicotomia fra Faust e Mefistofele, il supposto seduttore e la supposta vittima, inizia a sfumarsi in una dicotomia del singolo personaggio che assimila parti dell'altro, trasformandosi via via da vittima in carnefice e da carnefice in vittima. 

"L'umiltà necessaria per accostarsi a un'opera così complessa, ricca di sfumature e di caratteristiche psicologiche, non può che partire dall'accantonare gli interpreti originari - assicura il regista - Tentare di metterla in scena come fecero loro sarebbe solamente una scarsa contraffazione. La traccia è chiaramente quella indicata da Trionfo/Salveti e dal duo Bene/Branciaroli, ma Faust/Mefistofele devono vivere di luce diversa per non essere solo pallidi riflessi. Il mio lavoro sarà incentrato sull’ "abitare i nostri corpi", “abitare quelle parole” del Faust Marlowe Burlesque. Ma, proprio come Faust e Mefistofele che finiscono con l’essere le due parti della stessa tragedia di solitudine, di seduzione, di repressione, di condanna, così le stesse parole e gli stessi corpi dell’opera, dovranno pagare il dazio all’immortalità, venendo deformate, sfigurate, uccise rimanendo, però se stesse, intonse,quasi risorte a nuova vita; in maniera analoga a quanto faceva Bacon con la sua pittura, cui intendo ispirarmi sempre con grande umiltà, ma con coraggio e forza".

Con questo spettacolo, che ha debuttato con successo all'Elfo Piccini di Milano torna finalmente a Pescara sul palcoscenico del Florian Espace, il talentuoso attore e regista abruzzese Massimo Di Michele che dopo essersi formato alla scuola del Piccolo di Milano e aver frequentato i corsi di perfezionamento con Luca Ronconi ha lavorato con registi come Pippo del Bono, Emma Dante, Giuseppe Tornatore, Lorenzo Salveti, qui affiancato da Federica Rossellini, premio Hystrio alla vocazione 2011.


Res Nuda
Riflessioni Postume

da Achille Campanile

interpretazione e regia Ezio Budini

 

"Quando mi capitò di leggere Il pensiero della morte, diventato poi Riflessioni postume per il mio spettacolo - scrive Budini nelle sue note di regia -  pensai subito ad una messa in scena, trattandosi di un testo che, adattato a monologo, mi avrebbe dato la possibilità di affrontare una delle tematiche più amate e temute dai grandi scrittori, la morte, e di farlo alla maniera di Campanile, senza particolari espedienti scenografici , ma semplicemente mediante il potere delle sue disquisizioni agro-dolci, con gli angoletti della bocca all’insù, le zampette di gallina a incorniciare gli occhi e al contempo una lama tagliente a sfiorare le corde dell’animo umano".

 

Una perfetta miscela tra ironia e amarezza – punto cardine di tutta la produzione letteraria di Achille Campanile – attraverso cui l’autore si misura con il tema della morte, non in chiave diretta e cioè rappresentandola, ma indirettamente, ragionandoci sopra, costruendo una sua piccola filosofia della morte, o meglio del comportamento umano di fronte ad un fenomeno così immenso e allo stesso tempo evanescente. Un testo esorcizzante, dissacrante, ma profondamente romantico. Un intricato e divertente ragionamento sulla morte. Un sorprendente inno alla vita. Indiscusso precursore di un genere letterario e teatrale, l’assurdo, che verrà successivamente sviluppato e portato ai massimi livelli da autori come Beckett, Pinter e Ionesco, Achille Campanile ci regala con i suoi scritti sconclusionati, sgangherati, improbabili, paradossali, insensati, irrazionali, assurdi appunto, un piacevole e al contempo amaro divertimento, mentre gioca con l’animo umano descritto attraverso le sue mille sfaccettature grottesche, sentimentali, ridicole, malinconiche. Un genio nel saper sdrammatizzare anche le situazioni più tragiche o penose, semplicemente sorridendo e facendoci sorridere di fronte alla piccolezza dell’uomo nell'universo.

sabato 19 dicembre 2015 ore 21.00
domenica 20 dicembre 2015 ore 17.30 
per "Classici contemporanei"
FLORIAN ESPACE Pescara
Florian Metateatro
Vecchi tempi
di Harold Pinter
traduzione di Alessandra Serra
regia Pippo Di Marca
personaggi e interpreti:
Deeley Fabrizio Croci
Kate Francesca Fava
Anna Anna Paola Vellaccio 
scene e costumi Laboratorio Florian Metateatro, assistente alla regia Diletta Buschi, direttrice di scena Marilisa D'Amico
luci Renato Barattucci, registrazioni audio Globster, ufficio stampa Emanuela Collevecchio, grafica Antonio Stella
organizzazione Ilaria Palmisano, produzione Giulia Basel e Massimo Vellaccio
Prima Nazionale
Anna, lontana per circa 20 anni dall’Inghilterra e dall’amica Kate, sposata con Deeley, va a trovare la coppia. Comincia la carrellata di ricordi che però non coincidono nelle versioni dei tre personaggi, tanto da chiedersi se l’incoerenza dipenda dalla loro cattiva memoria, dal tempo inaffidabile, dalla dilagante nevrosi contemporanea, che non dà certezze e irrimediabilmente incastrata nella falsità, oppure se tutto questo dipenda più probabilmente dal linguaggio, incapace di raccontare il tempo e la realtà, inetto nello spiegare le ragioni profonde della storia stessa.
Lunghi silenzi, pause, lapsus, scene montate come flashback cinematografici: dietro tutto questo si nasconde l’angoscia di tre personaggi sulla quarantina, sopraffatti dallo scorrere del tempo, intrappolati nella stanza dove si svolge il dramma. Celata dietro l’apparenza di una innocente e realistica commedia, mano a mano il testo offre uno scenario diverso in cui, attraverso l'uso del linguaggio, emerge tutta la drammaticità dell’incomunicabilità fra i personaggi. Uno spettacolo dai tratti beckettiani e anticipatore di tanta parte della più recente produzione drammaturgica, in cui ci si interroga sull’importanza del vero senso del linguaggio, trasportati in una dimensione  fra  reale e surreale.
Pippo di Marca, “uno dei migliori registi teatrali della sua/mia generazione, ma un raffinato teorico, veramente metateatrale, della scena contemporanea”, (Renato Nicolini, 2004) ha trattato il testo con uno sguardo indagatore, da filologo, scavando nel senso delle parole come un archeologo, fino a svelare la condensa di oscurità e di nevrosi che investe i personaggi, incapaci di condividere un ricordo in maniera oggettiva. Fondatore del gruppo Meta-Teatro (oggi confluito nel Florian Metateatro), appartiene alla seconda generazione dell'avanguardia teatrale italiana insieme a Nanni, Perlini, Vasilicò, Cecchi, Carella, ai Magazzini e alla Gaia Scienza dei primi anni Settanta. Ha lavorato con Carmelo Bene, Leo de Berardinis, il Living e sulla scia di sfide e confronti con Lautréamont, Genet, Duchamp, Joyce, Shakespeare, Bernhard, Gadda, Sanguineti, Kantor, Bausch, Beckett, Pirandello, Bolaño ha costruito le tappe di un continuum unico e personalissimo (oltre sessanta spettacoli e decine di performance in Italia e nel mondo) portando a compiuta sintesi artistica un'esperienza ininterrotta di oltre quarant'anni. 
«Le prime rappresentazioni delle opere di Harold Pinter furono massacrate dai critici. Ad eccezione di Harold Hobson, scrissero tutti che era un autore eccentrico, inaccettabile, incomprensibile, che non aveva nulla da dire. Oggi forse è l'autore più rappresentato al mondo ma, come dice egli stesso, «Adesso sono diventato comprensibile, accettabile, eppure le mie commedie sono sempre le stesse di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». (Alessandra Serra). I suoi primi lavori sono considerati fra i capolavori del teatro dell'assurdo.
Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura.

Kismet OperA-Teatri di Bari
Namur (o della guerra e dell'amore)
di Antonio Tarantino
con Teresa Ludovico e Roberto Corradino
regia Teresa Ludovico
foto di Francesco Confalone
Namur di Antonio Tarantino è un pungente spettacolo di ambientazione storica in cui i temi universali della guerra e dell'amore si intrecciano, spingendo il pubblico a riflettere sul cinismo della vita.
La regia è stata affidata dallo stesso Tarantino a Teresa Ludovico, che per la prima volta ha messo in scena il testo. L'interpretazione scenica è della regista stessa e di Roberto Corradino, le luci sono curate da Vincent Longuemare. 
Ambientato in un contesto postbellico, lo spettacolo offre uno spaccato di vita interpretando magistralmente il testo inedito di Antonio Tarantino, uno dei più grandi scrittori di teatro contemporaneo, considerato un "alfiere fuori controllo di una nuova drammaturgia". 
Il 19 giugno 1815, l'esercito francese è in rotta e Napoleone fugge verso Parigi. A Namur, un paesino belga di retrovia, le armate inglese e prussiana cercano i nemici in ogni abitazione. Ed è proprio all'interno di una capanna che si snoda la trama: Lucien, un giovane insicuro soldato di fanteria, sfugge vigliaccamente alle richieste di conferme d'amore di Marta, una donna più adulta, vivandiera imperiale, la cui esistenza è segnata dalle dure esperienze di vita e la cui forza viene rinvigorita dall'amore per il giovane fantaccino. Portando in scena la meschinità e la vigliaccheria che emergono dalle dinamiche di coppia, si svela la ferocia della guerra in tutta la sua irrazionalità. Nei dialoghi amorosi racchiusi in un gretto microcosmo, si manifesta tutta la fragilità di un macrocosmo segnato dalle guerre napoleoniche.
Quello di Antonio Tarantino è un teatro fatto di uomini sofferenti e sconfitti, incastrati in una perenne condizione di stasi. I suoi personaggi mostrano le proprie ferite evidenziando la condizione di disagio di una umanità sdoppiata nei sentimenti: da una parte desidera l'amore, ma dall'altra lo rifiuta, non riuscendosi a fidare dell'altro. I suoi testi rispecchiano la personalità di un uomo cinico e disilluso, in grado di leggere il reale senza "spargere pessimismo, nè banalità edificanti", come direbbe lui stesso. Come altre delle sue opere, Namur è in grado di coinvolgere il pubblico con quello stile seducente e oscuro, tipico di Tarantino. 
ll Kismet OperA - Teatri di Bari è un importante teatro di innovazione pugliese che ha come obiettivo produrre, promuovere e diffondere arte scenica in tutti gli ambiti della vita culturale e sociale.

Teatro Studio Krypton
Trittico Beckettiano
Atto Senza Parole I, Non Io, L’ultimo nastro di Krapp
di Samuel Beckett
diretto e interpretato da Giancarlo Cauteruccio
foto di M. Buscarino

Torna a Pescara il Teatro Studio Krypton con Trittico Beckettiano, uno spettacolo che ha ricevuto il premio alla regia dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro nel 2006, ed è stato salutato da un notevole successo di pubblico e stampa sia al suo debutto che nella lunga tournée. Giancarlo Cauteruccio, fondatore e direttore del Teatro Krypton, storico protagonista delle avanguardie artistiche fiorentine degli anni '80, inventore delle scenografie con luce a laser, qui in veste anche di attore, è stato definito uno degli interpreti beckettiani più importanti in Italia e inserito nella terna dei premi Ubu come miglior attore protagonista. Per il Trittico Beckettiano ha scelto tre pièces brevi tra le più riuscite che il drammaturgo irlandese ha consegnato al teatro: L'Ultimo Nastro di Krapp, Non Io, Atto senza Parole.
La regia del Trittico è basata fondamentalmente sul lavoro dell’attore e sul conseguente rigore dell’esecuzione, ma come avviene normalmente nelle sue messinscena, Cauteruccio presta una particolare attenzione all’elemento scenico-visuale. Più che un semplice accostamento di testi, sembra un lucido, squassante viaggio in alcuni temi cruciali dell’universo di Beckett – che diventa una sorta di terribile percorso nel dolore e negli smarrimenti del Novecento.
Si può continuare a scoprire Samuel Beckett a cento anni dalla nascita? Lo sostengono i fedelissimi Krypton con un Trittico Beckettiano che riunisce tre testi dedicati dal maestro irlandese rispettivamente al corpo, alla parola e alla memoria, sviluppandoli in modi personalissimi e non privi di sorprese … [...] Infine Giancarlo Cauteruccio, regista dell’intera serata, interpreta una nuova edizione dell’Ultimo nastro di Krapp, dove la vita si misura col mezzo meccanico, alternando al ritorno del passato colto da precedenti incisioni al registratore le riflessioni dettate lì per lì, confronto di un vecchio con un altro remoto se stesso, in cui si accavallano nostalgia e disperazione davanti al trascorrere del tempo. E il fantasma di Beckett rivive e moltiplica la sua immagine nella sua analisi dei rapporti tra personaggi ed effetti scenici che è la vera chiave della serata.” Franco Quadri – La Repubblica

Florian Metateatro
Donde comienza el sueño. Raìces y alas.
Dove comincia il sogno. Radici e ali.
Spettacolo in spagnolo
un progetto di Giulia Basel e Carmen Nubla

 testo e interpretazione Carmen Nubla 

regia Giulia Basel 
voce fuori campo Carlos Ceacero   collaborazione artistica Umberto Marchesani  collaborazione colonna sonora Globster  collaborazione sottotitoli e video Alessio Tessitore  collaborazione luci Renato Barattucci   collaborazione ai costumi Francesca Perfetti     direttrice di scena Marilisa D'Amico   ufficio stampa Livia Tammaro   foto Fabrizio Baldassarre   grafica Erminia Cardone   organizzazione Ilaria Palmisano   produzione Massimo Vellaccio
"Así salí del lugar en el que nací, en el que crecí, para descubrir el que sería mi mundo!".
Come tanti artisti e intellettuali spagnoli Carmen ama l'Italia e decide di partire per Roma. Un viaggio e un racconto attraverso il quale due culture si intrecciano e dove, fra fantasia e realtà, emergono legami non frequentati tra i due paesi: Italia e Spagna. Andata e ritorno dove letteratura, musica e teatro saranno il motore dello spettacolo. Legami che sin dall'inizio la protagonista mostrerà e racconterà con delicatezza e con gioia disegnando un percorso che partendo col gioco e il coinvolgimento porterà a poco a poco a momenti di grande emozione. Emozione che passa anche attraverso la musica eseguita dal vivo grazie al talento di Carmen Nubla anche come musicista e cantante. 
Lo spettacolo è anche una rara occasione di ascoltare dalla viva voce di una valente interprete madrelingua alcuni brani tra i più significativi della letteratura e della drammaturgia di Spagna. Dal "Cantar del Cid" a Calderon de la Barca e a Cervantes e soprattutto a Garcia Lorca. 
Lo spettacolo è presentato in prima assoluta, dopo però un primo studio di 25 minuti andato in scena a settembre nell'ambito della seguitissima rassegna Scenari Europei.
Carmen Nubla è attrice, cantautrice (chitarra e voce), musicista (clarinetto). Nata a Trujillo (España) nel 12 marzo di 1978, si è laureata in Pedagogia. La sua formazione artistica si sviluppa con studi di recitazione nella scuola di teatro Cámara Chejov di Madrid con Ángel Gutiérrez, metodo Stanislavskij, formazione completata con la partecipazione a diversi laboratori con maestri come Bruce Myers, Vicente Fuentes, Bob Mc Andrew, Eduardo Milevich, Berta Roth, Andrea Baracco, Jairo Cuesta e James Slowiak (collaboratori di Jersy Grotowski), Yves Lebreton, Enrico Pitozzi.  Ha lavorato come attrice nella compagnia di teatro di teatro Karpas, con il Teatro stabile D’Abruzzo diretto da Alessandro Preziosi , con Teatri Offesi di Lorenzo Marvelli. Debutta come autrice con “Tu ed io oggetti usa e getta" di cui è anche interprete per la settimana della cultura spagnola nel Teatro Marrucino di Chieti.
Ha partecipato a diversi cortometraggi in Spagna e come co-protagonista nella docufiction “AMORE CRIMINALE” su RAI 3 sotto la direzione di Matilde D’Errico.

MOTUS
MDLSX
di Silvia Calderoni e Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni
regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
foto di Ilenia Caleo
domenica 22 novembre ore 17
per "Sotto la Tenda dell'Avanguardia"
FLORIAN ESPACE
Il Teatro dei MOTUS
Incontro e videoproiezioni con Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande
"Il cambiamento necessario è talmente profondo che si dice sia impossibile, talmente profondo che si dice sia inimmaginabile. 
Ma l’impossibile arriverà e l’inimmaginabile è inevitabile."
(Manifesto Animalista, Paul B. Preciado)
MDLSX è ordigno sonoro, inno lisergico e solitario alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria. Di “appartenenza aperta alle Molteplicità” scriveva R. Braidotti in “On Becoming Europeans”, avanzando la proposta di una identità post-nazionalista. Ed è verso la fuoriuscita dalle categorie – tutte, anche artistiche – che MDLSX tende. È uno “scandaloso” viaggio teatrale di Silvia Calderoni che – dopo 10 anni con Motus – si avventura in questo esperimento dall’apparente formato del D-j/Vj Set, per dare inizio a una esplorazione sui confini che si catalizzerà, nel 2016, in “Black Drama. Chi era Pilade?”
In MDLSX collidono brandelli autobiografici ed evocazioni letterarie e sulla confusione tra fiction e realtà MDLSX oscilla - da Gender Trouble a Undoing Gender. Citiamo Judith Butler che, con “A cyborg Manifesto” di Donna Haraway, il “Manifesto Contra-sexual” di Paul B. Preciado e altri cut-up dal caleidoscopico universo dei Manifesti Queer, tesse il background di questa Performance-Mostro.
Per la compagnia Motus – fondata nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò - non ci sono confini, nessuna frontiera tra Paesi, momenti storici o discipline; nessuna separazione tra arte e impegno civile. Portano i loro spettacoli nel mondo, lavorando per mescolanze di formati espressivi, animati dalla necessità di confrontarsi con temi, conflitti, ferite dell’attualità. 2011>2068 AnimalePolitico Project ha aperto un fronte di osservazione sul Futuro Prossimo Venturo con The plot is the Revolution (incontro scenico tra le  Silvia Calderoni e Judith Malina del Living Theatre). Attraverso workshop, performance e atti pubblici, il percorso ha condotto alle creazioni Nella Tempesta e Caliban Cannibal. Nel 2014 l’esperienza creativa del King Arthur, opera barocca con musiche di H. Purcell e testi di J.Dryden, è stata per Motus il primo elettrizzante confronto con il teatro musicale. Ad oggi però il lungo viaggio di AnimalePolitico non si è ancora idealmente esaurito e, con la nuova produzione MDLSX (debutto al Santarcangelo Festival 2015), un “Solo” che festeggia dieci anni di lavoro con Silvia Calderoni, la compagnia inaugura un nuovo progetto triennale che affronta il tema del confine/conflitto. "Scegliamo come ossatura drammaturgica alcune riflessioni e figure cardine dall’Orestea, o meglio, dagli Appunti per un’Orestiade Africana e da Pilade di Pier Paolo Pasolini, perché troppe domande lasciate aperte - e coincidenze - con i nostri progetti precedenti, richiedevano affondi che solo nel connubio fra tragicità e contemporaneo potevamo riannodare."

 

SUONI ENRICO CASAGRANDE
IN COLLABORAZIONE CON PAOLO BALDINI E DAMIANO BAGLI
LUCE E VIDEO ALESSIO SPIRLI

PRODUZIONE MOTUS 2015
IN COLLABORAZIONE CON LA VILLETTE - RÉSIDENCE D’ARTISTES 2015 PARIGI, CREATE TO CONNECT (EU PROJECT) BUNKER/ MLADI LEVI FESTIVAL LUBIANA, SANTARCANGELO 2015 FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL TEATRO IN PIAZZA, L’ARBORETO - TEATRO DIMORA DI MONDAINO, MARCHE TEATRO
CON IL SOSTEGNO DI MIBACT, REGIONE EMILIA ROMAGNA


LINO GUANCIALE/TEATRO DEI COLORI

Cadrà dolce la pioggia. Frames from Bradbury
da Ray Bradbury
con Lino Guanciale
drammaturgia e regia Valentina Ciaccia
Un racconto costruito per frammenti, un viaggio fatto di immagini spezzate, dentro e fuori il mondo di Ray Bradbury. Un remix di testi del grande maestro della fantascienza, autore di capolavori del genere come "Cronache Marziane" e lo straordinario "Fahrenheit 451", da cui è stato tratto il celebre film di Truffaut, nonché sceneggiatore della serie televisiva "Ai confini della realtà". Un monologo interiore, che ci porta gradualmente al confronto con l’altro, con l’alieno, e nella sua assenza, ne costruisce la diversità, il contatto,il fantasma, il doppio. Sulla scena semplici tagli di luce costruiscono uno spazio immateriale, da abitare con l’epifania di sogni raccontati, tramite l’uso di tecnologie antiche, e di elementi naturali come l’acqua la sabbia e le foglie, che fanno del nostro piccolo mondo un universo infinito. 
Lino Guanciale, nato ad Avezzano, si diploma nel 2003 all’Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico di Roma dove ottiene il Premio Gassman come miglior allievo degli ultimi dieci anni. La sua carriera d'attore inizia in teatro diretto da Gigi Proietti in Romeo e Giulietta per il Silvano Toti Globe Theatre di Roma. Collabora in seguito con Franco Branciaroli, Luca Ronconi, Walter Le Moli, Massimo Popolizio, Claudio Longhi, Francesca Staasch e Michele Placido, che dopo averlo diretto in Fontamara lo chiama ad interpretare Nunzio, uno dei personaggi del film Vallanzasca - Gli angeli del male. Accanto agli impegni teatrali, opera come insegnante e divulgatore scientifico-teatrale all'Università e nelle scuole superiori.
Nel 2009 debutta al cinema con Io, Don Giovanni di Carlos Saura, nei panni di Wolfgang Amadeus Mozart. Seguono i ruoli ne La prima linea di Renato De Maria, Il Gioiellino di Andrea Molaioli, Il sesso aggiunto di Francesco Antonio Castaldo, Il mio domani di Marina Spada, To Rome with Love di Woody Allen.  Dal 2011 è presente in televisione in molte fiction di successo di Rai 1 tra cui Il segreto dell'acqua, Una grande famiglia, Che Dio ci aiuti, La Dama Velata dove interpreta il ruolo protagonista del Conte Guido Fossà
Negli ultimi anni riprende la sua collaborazione con il Teatro dei Colori sua prima giovanile palestra teatrale. 
Nel 2015 vince il Premio Flaiano come attore rivelazione dell'anno. 
 
Teatro dei Colori nasce nel 1987 sotto la Direzione Artistica di Gabriele Ciaccia. Dal 1996, attiva il “Centro di produzione, ricerca e pedagogia nello spettacolo” in collaborazione con Regione Abruzzo e Comune di Avezzano (AQ) e fa parte della Segreteria Nazionale dell’AGITA (Associazione per la ricerca e la promozione della cultura teatrale nella scuola e nel sociale). Collabora con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “S. D’Amico” di Roma, l’Università degli studi di L’Aquila e l’Università di Bologna attraverso produzioni e perfezionamenti per gli studenti.
Ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il primo posto nell'ambito dell'Osservatorio Critico dell' E.T.I. (Roma 1988) con lo spettacolo “Colori...immaginare l'immagine” ed ha vinto il “Premio Ribalta” con lo spettacolo “Il mago dei Numeri” da H.M. Enzesberger nel 2003. 


TEATRO POTLACH

I primi 100 anni di Edith Piaf
spettacolo recitato in italiano e cantato in francese
di e con Nathalie Mentha
al pianoforte Gabriella Artale
regia Pino di Buduo
Lo spettacolo è un viaggio musicale nella Francia degli anni 30-50  attraverso le canzoni di Edith Piaf. Storie di vite nate nell’ambiente della malavita francese, storie di donne innamorate,  storie di passioni, di sogni, di ricordi. E’ il racconto di un’epoca, il 1939, un momento storico di grande fermento in tutta l’Europa. E’ l’epoca delle poesie di Jacques Prévert, delle fotografie di Cartier-Bresson, dei racconti teatrali di Jean Cocteau, dell’arrivo della Seconda Guerra Mondiale che decima tante famiglie, delle musiche dei film di Charlie Chaplin, delle immagini e dei personaggi del film “Roma Citta Aperta” di De Sica, della Resistenza francese, della lotta per la vita, per l’amore. Il tema dello spettacolo, l’anima che lega le storie, e forse ancora di più l’anima di Edith Piaf sembra essere: “non smettere mai di credere nell’amore qualsiasi cosa succeda”.
 
Il Teatro Potlach è stato fondato nel 1976 a Fara Sabina (Rieti). Il suo nome è derivato dagli studi antropologici dei fondatori, e significa, nel linguaggio degli indigeni dell'America nord­occidentale, il rito del dono gratuito che conferisce prestigio a chi lo elargisce e a chi lo riceve. L’identità artistica del Potlach si è espressa contemporaneamente nella produzione di spettacoli di sala e di spettacoli di strada, e nell’attivazione di iniziative pedagogiche che hanno coinvolto l’insieme delle tecniche espressive e performative. Dal 1991 il Teatro Potlach realizza il progetto Città invisibili in Europa e in America, che consiste in un lavoro teatrale “fuori dai teatri” che trasforma gli spazi quotidiani attraverso la scoperta dell’identità culturale del luogo e l’elaborazione dell’energia creativa dei suoi abitanti.
Nathalie Mentha è nata a Ginevra (Svizzera). Nel 1978 si diploma alla Scuola Superiore di Arte Drammatica del Conservatorio di Ginevra. Nell 1979 incontra il Teatro Potlach,  e comincia la sua formazione con pedagoghi di fama internazionale come Iben Nagel Rassmussen (Danimarca-attrice), Isso Miura (Giappone-danzatore butoh) Ingemar Lindt (Svezia-discepolo del mimo Etienne Decroux), Danilo Terenzi (musicista) e Peppe Rio (Spagna-danzatore di flamenco). Da allora vive in Italia e lavora in modo stabile come attrice nelle produzioni del  Teatro Potlach. 
Svolge da 33 anni un’intensa attività pedagogica sia in Italia che all’estero. 
Nel 1994 a Napoli Nathalie Mentha riceve il premio "Tassello d’argento" come migliore interprete non protagonista e per il valore dell'attività pedagogica e artistica svolta nel corso dell'anno 1993.
Nel 2012 nell ‘ambito del “30° Fadjr International Theater Festival” di Tehran riceve il premio come migliore attrice per la sua interpretazione nello spettacolo “Ventimila Leghe sotto i mari” del Teatro Potlach.

 ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI

I, CALIBAN - IO, CALIBANO
ispirato a LA TEMPESTA di William Shakespeare
di Tim Crouch 
traduzione Pieraldo Girotto
con Fabrizio Croci
regia Fabrizio Arcuri
debutto al Festival Contemporanea 2014
‘L’avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il suo volto in uno specchio. L’avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il suo volto in uno specchio’ (Oscar Wilde)
 
L’isola di Prospero è il palcoscenico in cui il mostro Calibano, figlio della strega Sicorace, è lasciato solo a sopravvivere alla Tempesta. Qui ricostruisce la sua personalissima tragedia insieme a occasionali marianette con cui può riaffogare nelle sue memorie, riemergere dai postumi dei suoi giochi magici e di una bottiglia di vino di troppo. La violenza dei giusti contro la giustizia (ingiusta) della storia e della sua letteratura. Uno squarcio intimissimo sul colonialismo culturale e massmediatico. Una ribellione dolcissima e già sconfitta. Una struggente ballata sulla nostalgia e sull’abbandono. Un reality al cui unico protagonista non sembra concessa la possibilità di ritornare alla realtà.
 

Lo spettacolo è uno dei quattro lavori teatrali raccolti nel più ampio progetto I SHAKESPEARE, che interroga la convenzione teatrale, mettendola in crisi a partire da testi che della stessa convenzione teatrale ne hanno segnato le fondamenta. Nei quattro spettacoli (I, PEASEBLOSSOM; I, BANQUO; I, CINNA; I, CALIBAN) i personaggi shakespeariani raccontano e rivivono al di fuori dell'opera. Quattro occasioni di guardare al contemporaneo, attraversando le sue pieghe politiche e artistiche, per ripensare la storia culturale occidentale e per presentarne le sue attuali possibili riattualizzazioni.

I, SHAKESPEARE marca la sua eccezionalità, nel divertimento inaggirabile della spudorata esposizione teatrale e la possibilità di un pensiero che accompagni lo spettatore oltre l’evento teatrale: spettatore che gioca sempre un ruolo decisivo, e che vive un coinvolgimento in ogni caso totale.

 
Accademia degli artefatti ha sempre lavorato mischiando linguaggi – prosa, performance, musica, video, scrittura scenica e drammaturgica – e indagando da una parte le forme dello spettacolo dal vivo, e dall’altra i meccanismi delle posizioni e delle relazioni sceniche. Sempre in un dialogo attuale e consistente con lo spettatore, interlocutore e non semplice ricettore della creazione artistica. Oggetto di questa ricerca sono stati alternativamente spettacoli di grande impatto scenico ed attoriale o dispositivi teatrali più contenuti e concentrati.  Accademia degli Artefatti ha presentato i suoi lavori nelle più importanti manifestazioni nazionali e vinto numerosi riconoscimenti tra cui la Biennale giovani di Roma del 1999,  il Premio Ubu per la migliore proposta drammaturgica straniera (Tre pezzi facili di Martin Crimp) nel 2005, Premio Ubu 2010 come miglior attrice protagonista (Francesca Mazza), Premio Hystrio 2011 alla regia (Fabrizio Arcuri). La compagnia è vincitrice del Premio della Critica Teatrale 2010.
 
La Compagnia è stata più volte presente a Pescara nelle programmazioni del Florian sia allo Spazio Alici che al Florian Espace, dove nel 2013 ha presentato IO SHAKESPEARE / IO, FIORDIPISELLO.

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