Il Ruggiero

CEFALONIA | ITACA: l’inganno del ritorno

 

per Sotto la Tenda dell'Avanguardia

in collaborazione con ESPACE Promozione Culturale e con il patrocinio di Associazione ALUMNI Liceo Ginnasio D'Annunzio - Pescara

Testi da Cefalonia di Luigi Ballerini, in dialogo con Il Ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi/Giacomo Badoaro drammaturgia, regia, musiche originali di Emanuela Marcante  apparato visivo a cura di Daniele Tonini con la collaborazione di Piero Deggiovanni voci recitanti ed esecuzioni musicali di Emanuela Marcante  (pianoforte) e Daniele Tonini (flauto) con la partecipazione di Luigi Ballerini

con il patrocinio di Associazione ALUMNI Liceo Ginnasio D'Annunzio - Pescara

Uno spettacolo in tre momenti: L’inganno del Ritorno; Diventare nemici; Due isole senza ritorno: Cefalonia, Itaca

Su due isole vicine, che forse sono la stessa, nel tempo del mito e nel tempo della storia approdano eroi di guerre inutili e dolorose: per Ulisse il ritorno è vendetta e illusorio ricongiungimento, prima di riprendere il viaggio; per i soldati della divisione Acqui il desiderio del ritorno, l’illusione del ritorno, si pagherà con la vita.

Per il reduce di Troia (l’accorto che non si accorge – o che non vuole accorgersi?) e per Ettore B, il soldato del Monologo a due voci di Luigi Ballerini che dall’isola dell’impossibile ritorno, Cefalonia, prende il titolo, l’approdo all’isola è un ultimo inganno. L’isola, un punto di arrivo e un punto di (ri)partenza. Le parole del soldato che si alternano a quelle della controparte tedesca Hans D, si sdipanano in narrazione e declamazione musicale che rompe in canto, mentre si svolge l’epos finale della peripezia di Ulisse, con la musica e le parole de Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi e del poeta “incognito” Giacomo Badoaro. Cefalonia | Itaca, due destinazioni che si serrano in un unico illusorio desiderio/scommessa di ritorno e che si rivelano scenario dell’ultimo inganno.

Luigi Ballerini, poeta dei due mondi come lo definirà Pippo Di Marca, nasce a Milano due mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, guerra che porterà suo padre a morire a Cefalonia. Dopo essersi formato e aver fatto parte della vita culturale di città come Milano, Londra, Bologna , Roma, nel 1969 si trasferisce negli Stati Uniti e insegna a Los Angeles e a New York. Nel 1976 diventa il direttore della facoltà di Italianistica alla New York University e nel 1992 ricopre lo stesso incarico per la UCLA. Nella Grande Mela inizia l’importantissima attività di promotore di poesia, che è una delle principali caratteristiche di Ballerini, portando poeti italiani in America organizzando incontri e convegni di altissimo livello e traducendo poeti americani in italiano per Rizzoli. Scrive libri di versi ma anche saggi sulla letteratura e poesia d’avanguardia.



Teatro della Tosse/ Le Rêve et la Vie 

MOI

liberamente tratto dalla corrispondenza di Camille Claudel

 

di Chiara Pasetti    regia Alberto Giusta    con Lisa Galantini

costumi Morgan – Maison Clauds Morene     elementi scenici Renza Tarantino

 

“Considero un privilegio oggi incontrare un personaggio come Camille Claudel. Non la conoscevo. Come ho fatto a essere così cieco e sordo! Una donna unica nella sua arte e nella sua umanità. Di lei ci si innamora quasi immediatamente. Sono sicuro che aveva delle mani bellissime. E comprendo il povero Rodin che ha bruciato d’amore per lei. Non è una femmina facile da raccontare. Ci vuole follia e pragmatica lucidità. Incarna quell’universo femminile scomodo perché di talento eccelso. Si muove sul palcoscenico della vita come un animale ruvido e al contempo fragile. Non si comporta mai da vittima anche se è vittima della società maschilista in cui vive." Alberto Giusta

Camille Claudel (1864-1943) è stata senza dubbio la più grande scultrice della sua epoca. Talento precoce e carattere ribelle e impetuoso, si fa notare quasi subito per la grande abilità in un’arte considerata quasi esclusivamente maschile. A Parigi segue i corsi di scultura presso l’Accademia Colarossi e diventa allieva di Auguste Rodin, il quale rimane immediatamente colpito dal suo talento. Tra i due scoppia inoltre una grande passione, durata diversi anni. La rottura del loro legame, conseguente anche al fatto che Rodin aveva già una compagna e un figlio, causerà non poche sofferenza a Camille ma nello stesso tempo renderà il suo stile totalmente indipendente da quello del maestro. Osannata dalla critica dell’epoca, agli inizi del Novecento Camille sprofonda lentamente in uno stato depressivo: si isola dal mondo esterno, partecipa a pochissime esposizioni, vive quasi esclusivamente barricata in casa e distrugge molte opere che ha creato. Nel 1913, subito dopo la morte di suo padre, il solo in famiglia che ne aveva sempre sostenuto e incoraggiato la vocazione, la madre e il fratello Paul Claudel, poeta e diplomatico di fama, decidono di farla internare presso un asilo per alienati mentali vicino a Parigi con la diagnosi di «deliri di persecuzione». Nonostante le numerose lettere in cui supplica la famiglia di poter tornare alla propria libertà, Camille resterà in manicomio fino alla sua morte, avvenuta nel 1943. Soltanto agli inizi del 2017, a più di settant’anni dalla sua scomparsa, è stato finalmente inaugurato un museo contenente la maggior parte delle sue splendide opere: il Musée Camille Claudel, a Nogent-Sur-Seine.



Debutta in anteprima europea al Florian uno dei quattro testi argentini inediti in Italia della selezione ufficiale del "Progetto B.A.R.C.A.- Buenos Aires Roma Creativi in Asse".

Un ritorno, una casa in riva all’oceano, tre anime abbandonate… In questa casa dove tutto è silenzio, un silenzio che nasconde la paura di vivere, c’è qualcosa che, ormai, un qualche rumore lo fa…

Pandora Lab

UN QUALCHE RUMORE FA

 

di Romina Paula regia e traduzione Alice Ferranti con Alice Ferranti, Lorenzo Terenzi, Luca Terracciano voce Angiola Baggi assistente alla regia Alessia Pellegrino scenografia Emiliano Gisolfi costumi Francesca Rizzello suono Lorenzo Terenzi foto e grafica Giorgia Ruggiano       

Selezione Premo Scenario 2017

Romina Paula racconta la storia di una famiglia "disfunzionale" - un tema classico della drammaturgia argentina - del suo delicato equilibrio e di un amore che diventa dipendenza perché insieme ci si protegge dal dolore, una storia che mette in gioco il nostro rapporto con la memoria e con l’altro, con il futuro e la sua negazione.

Il testo è ispirato al racconto "L'intrusa" del grande autore argentino L. Borges, del quale mantiene alcuni tratti fondamentali. Centrale è il rapporto tra i due fratelli, fondato sulla solidarietà assoluta e in casa si respira un’atmosfera di violenza sopita, pronta a scoppiare che appare evidente solo in pochi istanti ma sembra contaminare l’intero testo. Sono quegli stessi istanti a far scaturire pian piano l’evoluzione di una vita apparentemente ferma e senza via d’uscita, sviscerando le vere relazioni tra i due fratelli e una cugina, mancata per troppo tempo. Nel momento culmine in cui i due potrebbero davvero superare la loro simbiosi anche se in maniera brutale, non pacifica, questo istinto cambia direzione e viene sfogato sulla ragazza; ecco che il meccanismo sottile e subdolo della violenza domestica improvvisamente si mostra, inaspettato e potente. I due fratelli ritrova la memoria perduta e la ragazza, nell’accettazione del dolore, perde la sua identità.

Il testo è una traduzione dall'originale dell'opera "Algo de ruido hace", scritta nel 2007 dall'autrice argentina Romina Paula, ancora sconosciuta sulle nostre scene, la quale gode invece già di grande riconoscimento in Francia. Mai rappresentata in Italia e completamente inedita, questa è l'unica versione italiana esistente.

Questo spettacolo apre la fase italiana di produzione del "Progetto B.A.R.C.A. - Buenos Aires Roma Creativi in Asse", format di ricerca sulla drammaturgia contemporanea, ideato e diretto da Alice Ferranti, che investiga la scena teatrale argentina con l’obiettivo di tradurre testi inediti ed immetterli poi nella scena teatrale italiana. Il progetto è l’esito di un lungo percorso, sviluppato negli ultimi anni da Alice Ferranti, di conoscenza delle drammaturgie originali e del fermento culturale argentino.



Atto Due / Murmuris

GIUSTO LA FINE DEL MONDO

 

di Jean Luc Lagarce

traduzione Franco Quadri drammaturgia e regia Simona Arrighi, Laura Croce cura Silvano Panichi con Luisa Bosi, Laura Croce, Sandra Garuglieri, Roberto Gioffrè, Riccardo Naldini allestimento spazio scenico Francesco Migliorini assistente Angelo Castaldo organizzazione Elisa Bonini, Davide Grassi

Graditissimo ritorno a Pescara degli Atto Due/Murmuris, la compagnia fiorentina che nella scorsa stagione ci ha “deliziato” con “Il Migliore dei Mondi Possibili” e che quest'anno ci propone un'opera firmata dallo stesso autore che abbiamo avuto modo di apprezzare due anni fa nello spettacolo “Le regole del saper vivere”. Lagarce, il secondo autore più rappresentato in Francia dopo Molière, non è mai riuscito a vedere in vita – data la sua morte prematura avvenuta all’età di 38 anni per Aids – l’allestimento di almeno una delle sue venticinque opere. In Giusto la fine del mondo (1990), opera scritta prima che lo stesso autore sapesse di essere sieropositivo, Lagarce racconta con estrema delicatezza e discrezione la storia di uomo di nome Louis - malato di Aids e prossimo alla morte - che dopo essere stato lontano da casa per diversi anni, torna per comunicare ai suoi familiari la notizia della sua malattia e della sua imminente morte. Ad aspettarlo trova la madre vedova, i due fratelli Antoine e Suzanne, e la cognata Catherine. Louis andrà via la stessa sera, senza aver comunicato ai suoi la ‘mera’ notizia. Una pièce che racchiude nell’epilogo sommesso di Louis tutta l’incomunicabilità della parola che diviene portatrice di solitudini incapaci di urlare, di dire, di fare.



Torna a Pescara uno dei gruppi di punta del Teatro di Ricerca italiano, vincitori del Premio Scenario 2007 con Made in Italy. Fondata da Valeria Raimondi e Enrico Castellani in provincia di Verona, ha conseguito negli anni vari riconoscimenti tra cui il Leone d’Argento della Biennale di Venezia, 2 Premi Ubu,  il Premio Vertigine, il Premio Hystrio alla Drammaturgia, il Premio Franco Enriquez per l’impegno civile, il Premio Associazione Nazionale dei Critici di Teatro.

La Piccionaia / Babilonia Teatri

PEDIGREE

 

con Enrico Castellani e con Luca Scotton parole Enrico Castellani cura Valeria Raimondi direzione di scena Luca Scotton organizzazione Alice Castellani scene Babilonia Teatri costumi Franca Piccoli foto Eleonora Cavallo

Pedigree è la storia di un giovane uomo, della sua famiglia con due madri, del padre donatore e dei suoi cinque fratelli di sperma sparsi per il mondo. Pedigree racconta le difficoltà di una nuova generazione alle prese con genitori biologici e genitori di fatto, con nuove problematiche di identità e di coscienza. Pedigree riflette sulle prospettive di determinate scelte, dei diritti, dei desideri, delle aspettative di una generazione in provetta alla ricerca di nuove radici e alle prese con nuove paure. Un lavoro che è allo stesso tempo un pugno allo stomaco e una carezza, dotato di una scrittura che scivola leggera ma si attorciglia alle budella, carico di umanità. Pedigree sono due uomini che abitano il palco, senza nessuna apparente relazione tra loro. A legarli le note di Elvis. Vivono un ambiente sospeso a metà strada tra una galleria d'arte e un locale di street food, paradigma di un mondo in cui è pretestuoso tracciare confini e linee di demarcazione. Pedigree racconta di come le nostre dita corrano veloci su schermi e tastiere ma le nostre menti e i nostri costumi siano impregnati di quell'odore di naftalina che abbiamo ancora nel naso.



Per cause di forza maggiore, lo spettacolo
NON SO SE CI SIAMO FRAINTESI BENE
previsto per il 7 e l' 8 aprile al Florian Espace
è RINVIATO a data da definire.

Florian Metateatro

NON SO SE CI SIAMO FRAINTESI BENE

taccuino di viaggio nell’Italia degli italiani

 

scritto, diretto e interpretato da Sabatino Ciocca

e con Loris Ricci (produzione musicale) Alberta Cipriani e Monja Marrone (vocalist)    luci e fonica Renato Barattucci assistente alla regia Marilisa D'Amico organizzazione Ilaria Palmisano

 

Debutta in prima nazionale il nuovo spettacolo di Sabatino Ciocca. "Non so se ci siamo fraintesi bene" riflette in chiave ironica su accadimenti, problematiche, aspirazioni e soluzioni che agitano il dibattito sociale e politico del nostro Belpaese. Il reportage del vissuto quotidiano, il pettegolezzo nazional-popolare, le nevrosi modaiole, i vezzi radical chic, il mondo intellettuale di provincia sono gli strumenti che danno corpo alle riflessioni dell’attore-narratore, a volte dette, a volte cantate; un concerto esistenzial-confusionale scritto su uno spartito nel quale le note di verità e finzione, spettacolo e cronaca s’affastellano dissonanti sul pentagramma della vita.

Con questo spettacolo continua la collaborazione tra Sabatino Ciocca e il Florian Metateatro, che ha prodotto la nuova edizione di Canto di Natale di Dickens più volte replicato con successo a Dicembre dello scorso anno.

 

Autore e regista teatrale, Sabatino Ciocca è stato socio fondatore della cooperativa teatrale Quarta Parete e della Residenza Teatrale Theatria. Nel 1995 ha pubblicato il saggio “La mise en scène” nel teatro medievale abruzzese (in “AA.VV., La letteratura drammatica in Abruzzo”, Bulzoni Editore). Per il Teatro Stabile dell'Aquila ha scritto Il poeta calzolaio (sulla vita di Domenico Stromei), di cui ha curato la regia per l’interpretazione di Piero Di Iorio. Come regista di prosa ha messo in scena i suoi testi D’Annunzio e l’Abruzzo, in collaborazione con la Fondazione Il Vittoriale, Confessione generale, sulla vita dello scrittore Giuseppe Mezzanotte, La Penna di Tartarin, sulla vita di Edoardo Scarfoglio, La Voce dei Silenzi, orazione civile da lui scritta per la Fondazione Russo sulla morte del giornalista Antonio Russo ucciso in Cecenia. E' stato Direttore della Scuola di Recitazione e della Compagnia di Prosa del Teatro Marrucino di Chieti con la quale ha allestito testi di Claudel, D'Annunzio, Bernanos, Pirandello, Bulgakov, Maeterlick, Lorca, Havel, Kroetz, Razumovskaja, Erba. Autore e regista di produzioni televisive e radiofoniche della Rai di cui è stato programmista-regista, ha curato numerose regie liriche per il Teatro Marrucino-Teatro Lirico d’Abruzzo, tra le quali Il giocatore di Cherubini, Il ballo delle ingrate di Monteverdi, Attila di Verdi, Le nozze di Figaro di Mozart. Con il suo libro “Storie di lettere” (Solfanelli Editore) - ha vinto la X° edizione del Premio Internazionale Cesare De Lollis per la Sezione Narrativa. È da poco uscita una sua originale versione dello Pseudolo di Plauto (Edizione Tabula Fati)



Lo spettacolo arriva sul palco del Florian Espace dopo la Prima che avverrà al Teatro India di Roma dal 20 al 25 marzo. Lo spettacolo è una summa della poesia occidentale da Cavalcanti fino al Novecento, un continuum che, come un ‘flusso di coscienza poetico’ scorre lungo i secoli ed ha come bussola il Finnegans Wake di Joyce, lo sterminato ‘poema’ dove la parola prova a ‘rappresentare’ tutte le lingue della storia dell’occidente, spesso facendone sublime parodia. Su questa linea, a tratti da allucinato ‘show’, lo spettacolo intende riproporre, avanti e indietro nel tempo, con maschere nuove e aggiornate, gli orrori e le assurdità di sempre. Non solo i poeti puri, ma anche grandi della letteratura, della filosofia, del teatro, del cinema, di ogni epifania della dimensione umana che possa essere ascritta alla famiglia allargata della poesia, vengono convocati sulla scena: affidati alle voci dei quattro attori e a un flusso di immagini, di visioni. Si che sfilano, con Joyce, altri ‘quaranta ladroni di poesia’ – tra cui, Villon, Dante, Rabelais, Marlowe, Eliot, Nietzsche, Holderlin, Majakovskij, Kafka, Pound, Rimbaud, Baudelaire, Lautrèamont, Beckett, Fellini, Pasolini – concorrendo a estrarre lacerti di ‘bellezza’ dalle insondabili profondità delle miserie e delle macerie umane.

Florian Metateatro

THEATRUM MUNDI SHOW

(…commodius vicus of recirculation..)

 

per TEATRO D'AUTORE e altri linguaggi / Il teatro fa poesia

ideazione, selezione testi e regia Pippo Di Marca

con Gianni De Feo, Pippo Di Marca, Fabio Pasquini, Anna Paola Vellaccio

scene Luisa Taravella visioni Salvatore Insana sound Globster luci Renato Barattucci assistente alla regia Elisa Turco Liveri cura Giulia Basel

video su Pasolini Francesco Di Marca realizzazione scena Miriam Di Domenico pianoforte in audio Giovanni Monti collaborazione tecnica Edoardo De Piccoli collaborazione ai costumi Marilisa D'Amico organizzazione Ilaria Palmisano, Flavia Valoppi grafica Antonio Stella produzione operativa Massimo Vellaccio

note di regia

"Lavoro su Joyce e sul 'Finnegans Wake' dal 1981 ('Violer d'amores'). Dal Finnegans, da questo sterminato 'poema' dove la parola prova a reinventare tutte le lingue della storia d'occidente, facendone tabula rasa e realizzando una sublime parodia, una sorta di musica paradossale, riparto, per l'odierno Theatrum Mundi Show. Senza dimenticare, partendo, un'altra mia stella polare: quel 'Grande Vetro' di Duchamp, che è tra le più alte rappresentazioni della dualità maschile-femminile, con la 'Mariée' assunta al tempo stesso come 'Sposa' violata e procreatrice, madre terra - probabilmente dissimulazione della coubertiana 'origine del mondo' - e angelicata 'Via lattea': dualismo che Duchamp, esistenzialmente, trasferì nella partita a scacchi, a ben vedere il più singolare dei 'ready made', lo specchio di tutte le 'spade, i labirinti e gli amori' della storia e delle sue narrazioni, per dirla con Borges.

Che cosa rimane, oggi, di tutto questo? delle profetiche visioni di Finnegans – che fin dalla prima pagina ci dice della commedia tragica di adam and eve, in cui tutto ritorna, commodius vicus of recirculation back, tra war...all the time...great fall...wallstrait... pftjschute killykillykilly...severs [cloache]...pharce secular phoenish? del 'grande vetro', che gronda sangue? della scacchiera, che da quadrato perfetto, campo magico delle infinite schermaglie combinatorie dell'intelligenza e dello spirito, ci appare irreversibilmente deformata, sfigurata, ridotta a un campo di macerie? Rimangono, almeno per noi, per molti di noi, le parole dei poeti, degli scrittori, degli artisti: le voci di quelli che nei più svariati modi si sono ribellati, chi usando l'opera come arma, chi cercando invano un grumo di bellezza, chi delirando, chi immolandosi, dei grandi solitari, dei reietti, dei maledetti, dei suicidi e dei 'suicidati', di tutti coloro cui ci siamo rivolti per nutrire la nostra immaginazione, le nostre utopie, il nostro bisogno di trascendenza, e ovviamente di immanenza, di 'vita'. Così ho chiamato a raccolta la schiera - tralasciando imperdonabilmente tantissimi altri - di quelli che mi sono stati 'compagni' o vicini in anni di circumnavigazioni teatrali e non, per 'mettere in scena' , attraverso 'flussi' di coscienza, o magari di in-coscienza, una sorta di viaggio-odissea teatrale e multimediale lungo la letteratura, la musica, le arti, le immagini e soprattutto la poesia, anche, beninteso, al di là della pura versificazione. Nel tentativo di elaborare drammaturgicamente una risposta per quanto possibile inedita alla complessità di un 'theatrum mundi' dell'occidente che da secoli ci sollecita e ci sfugge - e oggi forse più che mai. Issati su un 'battello ebbro', sono venuti così alla ribalta - per scene, blocchi poetici, 'fluxus', che nel loro avvicendarsi formano un testo, una 'narrazione' -, dietro Joyce...Cavalcanti, Dante, Petrarca, Monteverdi...Villon , Rabelais, Shakespeare...Rimbaud, Baudelaire, Lautréamont, Mallarmé...Eliot, Leopardi, Saba...Chlebnikof, Esenin, Majakovskij...Emily Dickinson, Virginia Woolf, Amelia Rosselli, Silvia Plath...Kafka, Ezra Pound, Benjamin...Beckett, Genet, Thomas Bernhard...Gadda, Sanguineti, Pasolini...Duchamp... E in un ottica 'aperta', nello spettacolo, nello show, si sono dischiusi spazi per figure e visioni ascrivibili alla grande famiglia della poesia dell'uomo: rievocare grandi 'poeti' maledetti del rock come Jim Morrison, Jimi Hendrix, Brian Jones, Janis Joplin; abbandonarsi a 'visioni' e rivisitazioni filmiche di 'poeti' del cinema come Antonioni, Fellini, Visconti, Buster Keaton, Totò, Kubrik, Von Trier; perdersi (con la complicità di Saba) nella 'bellezza' di un gesto sportivo, dei gol di Maradona, Pelé, Garrincha, Crujff...Cosa che non sarebbe affatto dispiaciuta a Simone Carella - cui lo spettacolo è dedicato in memoriam : di una vita che è stata alta e indefessa 'azione poetica'.

Per questo sono stati invitati a intervenire e partecipare in video-reading di loro versi nel fluxus ininterrotto dello spettacolo, uno per replica, tanti amici poeti italiani: Nanni Balestrini, Luigi Ballerini, Valerio Magrelli, Luca Archibugi, Marco Palladini, Gilda Policastro, Sara Ventroni, Carlo Bordini, Patrizia Valduga, Mariangela Gualtieri , Rossella Or e altri. La selezione dei brani per il 'fluxus musicale' è mia. Il video su Pasolini è 'opera' di mio figlio Francesco."

Pippo Di Marca

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"DNA – Bulling Play ci regala il ritorno ad un senso di purezza primaria, tutta artistica e tutta teatrale, grazie ad uno spettacolo basato sulla drammaturgia solida e rilucente di Dennis Kelly, modernissima nel linguaggio e nei temi quanto classica nella tensione che promana dai dialoghi, dove va in scena l’avvicendarsi mutevole di quelle che sono dinamiche di potere o rapporti di forza tra i personaggi.  ...La regia precisa ed attenta di Antonia Renzella è palpabile nella sensorialità di uno spettacolo che respira come un grande organismo. .... Bravissimi tutti gli attori, con un paio di punte di eccellenza cristallina, ma ancor di più colpisce l’omogeneità corale di una recitazione sostenuta da notevole preparazione tecnica. Da non perdere assolutamente!" Paolo Verlengia Teatrionline.it

Florian Metateatro / TAG

D.N.A. Bulling play

 

di Dennis Kelly            regia Antonia Renzella

con Alessandro Blasioli, Ilaria Camplone, Andrea Carpiceci, Fausto Morciano, Lara Galli, Giulia Gallone, Massimo Leone, Martino Loberto, Luca Molinari, Andrea Palladino, Massimo Sconci

traduzione Monica Nappo Kelly aiuto regia Fausto Morciano  assistente alla regia Ilaria Micari  musiche e sound designer Luigi Tarquini scene e costumi Velia Gabriele in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila & L’Aquila Scena

Adam è scomparso, inghiottito dal buio di un pozzo profondo in disuso. E’ caduto giù, camminando in bilico su una grata, mentre i suoi amici si divertivano a lanciargli pietre addosso. Ognuno di loro sente di essere colpevole, ma nessuno ha intenzione di essere scoperto. In preda al panico, i ragazzi mettono in atto un improbabile piano per allontanare i sospetti e inscenare il crimine perfetto. Il piano riesce, al punto che viene processato e accusato un innocente. Le tensioni nel gruppo sembrano allentarsi, quando un imprevisto rimescola le carte, rompendo i nuovi equilibri tra i membri di questa micro-società senza regole, modificando gerarchie e lotte di potere all’interno del branco. D.N.A di Dennis Kelly è breve, acuto, scioccante: accumula abilmente i colpi di scena, mostrando come il senso di colpa e la paura lavorano sulle dinamiche di gruppo. Una commedia nerissima che mette a nudo il modo in cui l'interesse personale, la pressione dei propri simili e l'incapacità di connettersi realmente ed entrare in empatia con l'altro porta a un’ abulìa dei sentimenti, fino a generare in un gruppo di adolescenti la determinazione a farla franca con l'omicidio. D.N.A ha la semplicità e la chiarezza di una tragedia greca filtrata attraverso un episodio di bullismo.



“…lo spettacolo coinvolge soprattutto per le microstorie ed i dettagli minimi contenuti nei sui risvolti più interni… per lo spettatore si apre uno scrigno di sorprese e scoperte continue, come un disegno di cerchi concentrici… Il sodalizio efficace registrato attraverso questo progetto tra le realtà del museo e del teatro suscita una riflessione: il lavoro meritorio svolto da musei assolutamente interessanti sul piano della capacità di proposta come il Museo delle Genti di Pescara, non può che trarre vantaggio dall’accostamento con il linguaggio teatrale in termini di una comunicazione attrattiva ed interattiva” (Paolo Verlengia)

 

Florian Metateatro

BAGNO BORBONICO

un tuffo nel passato

VISITA-SPETTACOLO NELL'ANTICO BAGNO PENALE DI PESCARA

 

testo e regia di Giulia Basel                 con Umberto Marchesani

ideazione e progetto culturale del Museo del Risorgimento Ermanno De Pompeis ricerca storica Letizia Lizza voci fuori campo Massimo Vellaccio e Giulia Basel ambiente sonoro Globster luci Renato Barattucci organizzazione Emanuela D’Agostino e Marilisa D'Amico progetto grafico Antonio Stella foto Flavio Buret produzione Florian Metateatro in collaborazione con Museo delle Genti D’Abruzzo

Bagno Borbonico, uno spettacolo site-specific ovvero un lavoro creato su misura per il Museo delle Genti dal Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale e frutto di una intensa collaborazione tra operatori del Museo e artisti del Florian. Uno spettacolo che parla della nostra città e della sua lunga e misconosciuta storia, ambientato in uno dei pochi luoghi di Pescara capace di testimoniare di un passato e di una identità. E proprio nell’Ala Risorgimentale del Museo delle Genti d’Abruzzo, ovvero nel luogo reale del carcere Borbonico di Pescara prende vita lo spettacolo. Un prigioniero in abiti d'epoca ci attende dietro le sbarre e ci invita ad avanzare e ad addentrarci in quello che una volta è stato un carcere. Un carcere molto duro, un bagno penale, il Bagno Borbonico appunto, creato dai Borboni all’interno della fortezza pescarese, dove venivano rinchiusi anche i patrioti arrestati nel corso delle repressioni dei moti rivoluzionari che avrebbero condotto al Risorgimento ed all’Unità d’Italia. Attraverso le sue parole ritroviamo una storia in cui Pescara ha avuto parte, a volte non secondaria, e sentiamo vivere i muri e gli oggetti che ci circondano e immaginiamo ciò che è stato in quella che è una vera e propria scenografia naturale, testimone diretta delle vicende raccontate.

Bagno Borbonico è nato da una prima collaborazione sul bagno penale di Pescara tra la Compagnia e il Museo realizzata nel 2011 in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, dalla quale sono scaturiti gli schermi parlanti con le voci degli attori del Florian, che sono ormai una acquisizione permanente del museo, e dalla sua creazione nel 2013 è stato ciclicamente rappresentato più volte, sempre rigorosamente dell’Ala Risorgimentale del Museo delle Genti d’Abruzzo.



“Lui è lì, dentro una stanza. Circondato dalla musica. Una musica celestiale lontana, ma così vicina; lui si interroga, si scava, si fa del male. Ma potrebbe trovarsi anche dentro una trincea, fumando una sigaretta, appoggiato a un muro decrepito, con il fango fino alle ginocchia. Lui siamo noi, siete voi, sono io o sei tu. Siamo tutti. Lui è un ribelle”

Florian Metateatro

IL RIBELLE

 

di Leonardo Rossi           ispirato a Ernest Jünger

regia, cura musicale e dipinto in locandina Gian Marco Montesano

con Umberto Marchesani con la partecipazione di Oscar Strizzi registrazioni e montaggio audio Globster  luci Edoardo De Piccoli  assistente alla regia Marilisa D'Amico  cura Giulia Basel  progetto grafico Antonio Stella  si ringrazia Chiara Sanvitale

Politica, sessualità, estremismo, ma anche solitudine, rancore e speranza: questi i temi ricorrenti e portati in scena da Gian Marco Montesano nel suo Il Ribelle, di Leonardo Rossi, intensamente interpretato da Umberto Marchesani. Nella pièce tutto viene preso a fatto a pezzi, sondato con delicatezza per essere osservato in controluce e finalmente compreso: gli scontri generazionali, gli scontri finti, gli scontri dialettici e anche conflitti erotici, “umani e molto umani”, sono tutti gli elementi che questo Ribelle, senza età e senza tempo, lancia sul pavimento per cercare di leggerne le profezie. Alla fine trionfa la figura dell’anarca, un re, un modello, un operaio del mondo che lo costruisce nel silenzio della foresta, ascoltando una musica che viene da lontano e che lo proietta ancora più in là. Altra protagonista dello spettacolo è la musica che torna e ritorna dall'inizio alla fine, una musica che ci offre un Ribelle che è un sollievo, un istante di pace e di sicurezza. Cosa ne verrà fuori, si potrà capirlo ascoltando con attenzione le parole e la musica. Perché non c’è significato più intimo e profetico di una parola che si lega a una nota.



O.T.I. / Florian Metateatro / Internoenki

APPUNTI PER UN'ORESTEA NELLO SFASCIO

anteprima assoluta

 

per TEATRO D'AUTORE e altri linguaggi / Stazioni di Frontiera

e per MATTA in scena - progetto residenze

 

testo e regia di Terry Paternoster con Venanzio Amoroso e Patrizia Ciabatta aiuto regia Eleonora Cadeddu, Pierfrancesco Rampino luce David Barittoni scenotecnica Ambramà

 

Terry Paternoster - autrice, regista e interprete di M.E.D.E.A. BIG OIL, il suggestivo spettacolo corale vincitore del XIV Premio Scenario per Ustica che l'ha lanciata a livello nazionale – torna a lavorare sul mito greco, e propone in anteprima il primo step teatrale di una ricerca in corso da più di un anno. In APPUNTI PER ORESTEA NELLO SFASCIO, la storia di Oreste, Elettra e Clitemnestra si trasfigura in tragedia del presente. E se in MEDEA BIG OIL lo scenario era la Basilicata, martoriata dalle multinazionali del petrolio, qui si puntano i riflettori nel cuore della Puglia, 'l'Altra Terra dei Fuochi'. Oreste (Venazio Amoroso) torna a casa dopo un lungo esilio imposto dalla madre a causa della sua omosessualità marchiata a pelle. È costretto a rivedere la sua famiglia per via di un terribile e inaspettato evento: la morte del padre, scomparso in circostanze poco chiare. Ritroverà la madre devastata dal peso dei debiti e dell’usura. Grazie al confronto con la sorella Elettra (Patrizia Ciabatta), la sua percezione del senso della vita subirà un mutamento che lo porterà alla riscoperta di una nuova identità. Un evento inaspettato scoperchierà la coltre del silenzio, rivelandosi in un orrendo e tragico atto finale.



Torna a Pescara per il trentennale del Florian Espace

dopo il successo al Palladium di Roma

l'ultimo spettacolo di Enrico Frattaroli

Florian Metateatro / Neroluce

4.48 PSYCHOSIS

di Sarah Kane

in forma di “SINFONIA per VOCE SOLA” di Enrico Frattaroli

 

con Mariateresa Pascale  elaborazioni musicali (da G. Mahler e P. J. Harvey), video, scena e regia di Enrico Frattaroli  voce soprano in audio Patrizia Polia  responsabili tecnici Renato Barattucci ed Edoardo De Piccoli  assistente alla regia Giorgia Sdei   cura Giulia Basel

"Nello spettacolo che abbiamo visto al Palladium di Roma e che si rivedrà già il 23 di questo mese a Pescara dove è stato prodotto dal Florian Espace, che festeggia i trent'anni di vita teatrale, unica continuità d'Abruzzo .... nello spettacolo di Frattaroli ciò che di nuovo e innanzitutto colpisce è l'evidente disparità (a parte Romeo Castellucci) tra questo regista e tutti gli altri. Parliamo naturalmente di teatro d'invenzione, di teatro d'innovazione, infine di teatro d'avanguardia.  ... I quattro microfoni, il buio, le scritte in inglese o tradotte, che corrono dietro le spalle di Pascale, la colonna sonora, Mahler e Harvey, che accompagna ogni attimo dell'addio, sono la gloria di quest'altro memorabile spettacolo di Enrico Frattaroli."  Franco Cordelli su La Lettura del Corriere della Sera attualmente in edicola

4.48 Psychosis - Sinfonia per voce sola è una messa in concerto dell’ultimo testo di Sarah Kane: la musica dei suoi versi in risonanza con la musica di Gustav Mahler e di P. J. Harvey. Sulla scena, protagonista è la poesia stessa, variegata nelle forme liriche, narrative, dialogiche, grafiche della sua scrittura, testualmente e scenicamente affidata alla voce sola di Mariateresa Pascale. «Scriverlo mi ha uccisa» annota Sarah Kane sul biglietto allegato alla copia di 4.48 Psychosis lasciata in consegna a Mal Kenyon, la sua agente letteraria. Il suo ultimo dramma, perfezionato fino all’ultimo istante della sua vita, è anche il suo testamento poetico. Una scrittura che noi ereditiamo, un atto poetico assoluto di cui ci chiede di essere testimoni, spettatori, amanti: Convalidatemi /Autenticatemi / Guardatemi / Amatemi.



Florian Metateatro / Accademia degli Artefatti

LA CHIAVE DELL'ASCENSORE

per TEATRO D'AUTORE e altri linguaggi / L'Europa è qui - Assolonosolo

di Agota Kristof   traduzione Elisabetta Rasy   con Anna Paola Velaccio regia ed ambientazione Fabrizio Arcuri

assistente in scena Edoardo De Piccoli assistente alla regia Francesca Zerilli assistente alla produzione Marilisa D’Amico cura Giulia Basel foto di scena Roberta Verzella grafica Antonio Stella  una coproduzione Florian Metateatro / Accademia degli Artefatti.

"… e’ stupefacente l’analogia tra la commedia che abbiamo letto e quanto ascoltiamo nella misura in cui ne è stupefacente la differenza – per la ricchezza e lancinante potenza dei toni e per gli effetti e suggestioni di luci. Il regista Fabrizio Arcuri e l’interprete Anna Paola Vellaccio avevano già lavorato insieme. L’accordo è misterioso, sono un tutt’uno. In un monologo, Nella pietra di Christa Wolf e diretta da Enrico Frattaroli, Vellaccio aveva mantenuto un timbro vocale e ritmico tutto il tempo. Ora, che siamo in un altro Medioevo, nel Medioevo eterno, il tempo viene frantumato: la vera fiaba in quella nebbia è straniata; l’altra fiaba è invece ironica, ora irrisa, ora appassionata, ora urlata – un interminabile urlo doloroso: “La vita, se volete, ma non la voce!”. Franco Cordelli Il Corriere della Sera 19 ottobre 2017

Ne “La chiave dell’ascensore” è messo in scena un sacrificio; il racconto,la statica e tutta verbale azione tesa a ristabilire una verità, coincide con una messa a morte. La verità si gioca nello spazio apparentemente ristretto che divide l’io e il tu di una coppia ; il gioco del sacrificio è esplicito perché la vittima, ribellandosi, lo esibisce. Anche la scena si mostra per quel che è; non solo un territorio separato, ma addirittura inaccessibile a chi non ha una certa chiave, uno speciale strumento, cioè uno speciale potere. Gran parte di ciò che accade e soprattutto di ciò che conta, accade fuori, altrove: la scena di Agota Kristof è un luogo di reclusione, uno spazio concentrazionario. Dove agiscono, mascherati da piccole situazioni intimiste, ampi cerimoniali di tortura e messa a morte.



Il Teatro Libero di Palermo porta in scena un testo firmato dall'inglese Caryl Churchill, una delle più importanti autrici del teatro contemporaneo, con la regia di Luca Mazzone, di cui ricordiamo lo spettacolo Contrazioni di Mike Bartlett presentato con successo al Florian Espace nella Stagione 2015/2016.

Teatro Libero Palermo
A NUMBER


per TEATRO D'AUTORE e altri linguaggi / L'Europa è qui
di Caryl Churchill traduzione di Monica Capuani progetto e regia Luca Mazzone con Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo musiche Antonio Guida costumi Lia Chiappara disegno luci Gabriele Circo e Fiorenza Dado

 

Un padre, un figlio. Il rapporto tra il Padre – figura concreta e allo stesso tempo utopica, e il figlio; rapporto che appartiene alla dimensione più precipua del mito, quello fatto di legami ancestrali, non detti antologici che sottendono, nella relazione stessa, l’elemento dell’unicità e della natura, che in una contrapposizione polare si trovano contrapposti al nutrimento e al contesto. Una contrapposizione polare ritmata da attrazione e repulsione. Un legame di pura necessità. L’ineluttabilità del rapporto è quella del legame tra il Padre e i suoi figli, rapporto che ha nel sangue un correlativo oggettivo che sottende l’unicità e l’impossibilità della replica quali leggi necessarie della natura. Correlativi oggettivi della stessa esistenza, donataci, appunto, dal Padre, di cui siamo tutti figli. «Che cosa è l’uomo perché tu ti ricordi di lui o il figlio dell’uomo perché tu ti curi di lui? [...] Ecco me e i figli che Dio mi ha dati» un passo della Lettera agli Ebrei del Nuovo Testamento che ci fa riflettere sul “Me”, dove un principio di realtà, la cui affermazione è inevitabile, non può che trovare nella filiazione la sua più forte affermazione.



Florian Metateatro / Neroluce

4.48 PSYCHOSIS

di Sarah Kane

in forma di “SINFONIA per VOCE SOLA” di Enrico Frattaroli

 

Anteprima

con Mariateresa Pascale  elaborazioni musicali (da G. Mahler e P. J. Harvey), video, scena e regia di Enrico Frattaroli  voce soprano in audio Patrizia Polia  responsabili tecnici Renato Barattucci ed Edoardo De Piccoli  assistente alla regia Giorgia Sdei   cura Giulia Basel

4.48 Psychosis - Sinfonia per voce sola è una messa in concerto dell’ultimo testo di Sarah Kane: la musica dei suoi versi in risonanza con la musica di Gustav Mahler e di P. J. Harvey. Sulla scena, protagonista è la poesia stessa, variegata nelle forme liriche, narrative, dialogiche, grafiche della sua scrittura, testualmente e scenicamente affidata alla voce sola di Mariateresa Pascale. «Scriverlo mi ha uccisa» annota Sarah Kane sul biglietto allegato alla copia di 4.48 Psychosis lasciata in consegna a Mal Kenyon, la sua agente letteraria. Il suo ultimo dramma, perfezionato fino all’ultimo istante della sua vita, è anche il suo testamento poetico. Una scrittura che noi ereditiamo, un atto poetico assoluto di cui ci chiede di essere testimoni, spettatori, amanti: Convalidatemi /Autenticatemi / Guardatemi / Amatemi.

"Non la musica soltanto è chiamata a fare parte della concertazione. Un flusso di immagini tratte dalla disposizione grafica del testo, o ad essa ispirate, si attengono al poema seguendo le variazioni agogico-dinamiche dell'intera partitura verbale e musicale. Sono diagnosi, numeri, sigle, geometrie e combinazioni di parole, ma anche cancellature, pagine gualcite, pellicole graffiate, coniugate di volta in volta con declinazioni postume, come in effigie, dello spazio scenico: sale da concerto devastate, stanze abbandonate, deserti di contenzione, fabbriche obsolete, teatri in rovina… Le parti dialogiche del poema – le cui voci rinviano, implicitamente, alla stessa Kane e al suo psichiatra – hanno, paradossalmente, valore di tacet. Sono momenti in cui l’opera si sospende (la luce scompare, la musica cessa, le immagini dissolvono) ed il regista si rivolge, letteralmente, all’attrice, che al regista risponde. Ed è proprio per il loro valore di silenzio poetico che sono parte dell’opera teatrale, del concerto, della poesia, come bianchi di scena." Enrico Frattaroli



Muta Imago

 

(a+b)3

 

domenica 3 dicembre 2017 ore 17.00 - TEATRO COMUNALE di PRATOLA PELIGNA

per TEATRO D'AUTORE e altri linguaggi / Stazioni di Frontiera

ideazione e regia Claudia Sorace  drammaturgia e suono Riccardo Fazi con Claudia Sorace e Riccardo Fazi

Domenica 3 dicembre Teatro d'Autore si sposta per un appuntamento speciale al Teatro Comunale di Pratola Peligna per lo spettacolo (a+b)3 dei Muta Imago, uno dei più interessanti gruppi del nuovo teatro, già affermato a livello nazionale e internazionale, che il Florian ha avuto il piacere di ospitare con grande successo al Festival Scenari Europei 2016 con il nuovissimo e innovativo "Polices!". Questa volta presenteranno invece uno dei loro primi lavori (a+b)3, uno spettacolo che unisce ad una sensibilità di ricerca la capacità di coinvolgere un pubblico ampio e che si presta ad una fruizione anche per famiglie come è giusto che sia in un periodo ancora di feste. Una coppia d’amanti, due figurine felici che si preparano per uscire: mettono il vestito bello, i capelli hanno la piega appena fatta, un giro di perle al collo, le scarpe lucide. Si muovono rapidi, la loro danza si ferma di fronte ad uno specchio, che ne incide i nomi sulle ombre sottili. Si racconta che la pittura nacque quando una ragazza ricalcò il contorno dell’ombra del suo giovane innamorato sulla parete della sua stanza. Il ragazzo sarebbe partito la mattina successiva, allora lei, la notte, tenendo la lanterna vicino al viso di lui e vedendo proiettarsi un’ombra sul muro, disegnò i contorni della sua ombra...

Lo spettacolo sarà preceduto da ANTOLOGIA DI S. un interessante e particolare progetto di drammaturgia sonora di Riccardo Fazi.




LunAria

FINALMENTE SOLA

per TEATRO D'AUTORE e altri linguaggi / Assolononsolo

in collaborazione con Magfest

con Paola Giglio regia Marcella Favilla

in occasione della ‘Giornata Internazionale Contro La Violenza Sulle Donne’

P. è sempre stata fidanzata, sempre, dall’età di 5 anni. Nella sua vita è saltata da una storia all’altra senza soluzione di continuità, schiava dell’amore e di uomini che, non si sa perché, appena conosciuti si sono innamorati di lei, anche quando lei puntava ad un semplice rapporto occasionale. Il problema di P. è che non sa dire di no: come si fa a rifiutare un uomo che si è innamorato di te e che alla luce di ciò sembra possedere un innegabile buongusto? Senza contare poi che fin dall’infanzia, se sei femmina, tutto il mondo intorno non fa altro che ripeterti che nella vita devi trovare l’uomo giusto e sistemarti. Ma anche un uomo a caso e sistemarti. Basta che non resti sola insomma, non sia mai….. Finalmente sola è un testo che si propone, guardandole attraverso le lenti dell’ironia e del sarcasmo, di indagare le dinamiche amorose, partendo da quelle un po’ scontate e che fanno sorridere, fino ad arrivare a quelle malate e potenzialmente pericolose. Lo spettacolo, Selezione Premio Scenario 2015, ha poi vinto il Premio ‘Anima e Corpo del personaggio femminile’ per monologhi originali dell’Associazione Luigi Candoni. Inserito nella rassegna ‘Una stanza tutta per lei’ organizzata a Roma da Marioletta Bideri ha riscosso grande consenso di pubblico e critica come anche al festival Under 32 ‘Maldipalco’ del Teatro Tangram di Torino.



Dopo gli “inferni” di Copi, Elfriede Jelinek, Koltès, Beckett o Pasolini, Andrea Adriatico approda all’opera più esplicita riguardante la pressione sociale come fonte di sofferenza per l’uomo della nostra epoca. E lo fa in una coproduzione che vede coinvolti Teatri di Vita, Akròama T.L.S. e Teatri di Bari, nell’ambito del VIE Festival. Lo spettacolo rientra nel progetto Atlante: “progetto cervicale per chi soffre di dolori al collo, dolori da peso del mondo”, che si sviluppa attraverso gli spazi urbani. Dopo Bologna, 900 e duemila, prima tappa di Atlante negli spazi monumentali del capoluogo emiliano, ecco lo spazio tutto interiore e domestico di A porte chiuse,seconda parte del progetto.

Teatri di Vita

A PORTE CHIUSE

Dentro l’anima che cuoce

 

uno spettacolo di Andrea Adriatico ispirato a Jean-Paul Sartre drammaturgia di Andrea Adriatico e Stefano Casi con Gianluca Enria, Teresa Ludovico, Francesca Mazza e con Leonardo Bianconi con l’amichevole partecipazione di Angela Malfitano e Leonardo Ventura

una produzione Teatri di Vita, Akròama T.L.S. con la collaborazione di Teatri di Bari

Graditissimo ritorno quello dei Teatri di Vita con il loro A PORTE CHIUSE Dentro l’anima che cuoce. Venerdì 10, sabato 11, domenica 12 novembre per “L'Europa è qui” Andrea Adriatico porta in scena Gianluca Enria, Teresa Ludovico, Francesca Mazza e Leonardo Bianconi in uno spettacolo ispirato a Jean-Paul Sartre , drammaturgia di Andrea Adriatico e Stefano Casi, con l’amichevole partecipazione di Angela Malfitano e Leonardo Ventura , una produzione Teatri di Vita, Akròama T.L.S. con la collaborazione di Teatri di Bari . Due donne e un uomo, rinchiusi in un salotto per l’eternità. Quel salotto elegante e perbene è l’aldilà, e la loro convivenza è la condanna dopo la morte, perché “l’inferno sono gli altri”. Jean-Paul Sartre scrive A porte chiuse (Huis clos) nel 1944, firmando uno dei capolavori della drammaturgia europea: un serrato dialogo fra tre morti che protraggono la loro pena semplicemente rigettandosi in faccia verità scomode. Una metafora delle relazioni sociali e della stessa identità, formata dalla prospettiva degli altri. Un’intuizione che rimane sempre potente per la sua capacità di descrivere i rapporti umani, e dunque le aberrazioni e forzature del giudizio altrui, anche 70 anni dopo, nell’epoca in cui il “controllo” dell’altro passa impietoso e violento attraverso i media e i social network, definendo un “inferno globale” che è l’ambiente in cui viviamo.



Da molti anni il Teatro del Lemming conduce un percorso teatrale, unico nel panorama italiano, che si caratterizza per il coinvolgimento drammaturgico e sensoriale degli spettatori. Questa indagine, ricollocando al centro dell’esperienza teatrale la ritualità e il mito, si pone anche come ricerca sui profondi movimenti emotivi che le figure archetipiche inevitabilmente suscitano in coloro che le frequentano. Su queste basi il Teatro del Lemming è andato sviluppando, negli anni, un proprio processo pedagogico. Nei lavori del Lemming, dedicati a piccoli gruppi di spettatori alla volta, non si tratta dunque semplicemente di assistere ad uno spettacolo, quanto piuttosto di esserne completamente immersi e di vivere così una vera e propria “esperienza”.

 

Teatro del Lemming

DIONISO e PENTEO

Tragedia del Teatro

 

in occasione dei trent'anni del Teatro del Lemming

con Alessio Papa, Boris Ventura, Diana Ferrantini, Katia Raguso, Fiorella Tommasini, Marina Carluccio, Elena Fioretti, Rudi De Amicis e Silvia Massicci elementi scenici Ulrico Schettini e Martino Ferrari collaborazione drammaturgica Roberto Domeneghetti musica e regia Massimo Munaro

“Un attore per ogni spettatore. E qui si crea la magia. […].Non capita tutti i giorni di essere abbracciati e accarezzati da uno sconosciuto. Ma è il teatro”. (Gisella Bertuccio - Gazzetta di Mantova)

Forse non è un caso che "Le Baccanti" di Euripide si configuri come l'ultima delle grandi tragedie che ci sono rimaste. Per certi aspetti essa si pone come fine di un genere, e più in generale di un pensiero (quello tragico appunto), ma anche come inizio di quella diversa visione del mondo che sta alla base della tradizione che conduce fino ad oggi e a quel che rimane del teatro moderno. Implicitamente, mettendo in scena come protagonista lo stesso dio del teatro - Dioniso, essa si pone come riflessione sullo stesso statuto di teatralità, sulla sua crisi, sulla sua impossibilità.

Agave e Penteo sono madre e figlio. Accomunati dalla stessa hybris che infondo consiste nel non riconoscimento del proprio lato numinoso (Dioniso era un loro stretto consanguineo). Fra l'isteria della menade Agave che giunge a non riconoscere il figlio e a sbranarlo, e il presunto bisogno di ordine razionale di Penteo che giunge a desiderare di vedere senza essere visto (prototipo dello spettatore moderno) quelle che per lui sono solo agognate sconcezze erotiche, c'è una uguaglianza di segni: entrambi sono strumenti inconsapevoli della vendetta del dio.



Teatro Potlach

DIALOGHI CON TRILUSSA

con Daniela Regnoli    regia Pino Di Buduo

Attraverso alcune delle più belle poesie di Trilussa, l'attrice regala agli spettatori uno spettacolo divertente in dialetto romanesco indirizzato ad un pubblico di adulti e di giovani. Uno spaccato della società del secolo scorso a cavallo delle due guerre che ci permette di riflettere sul nostro tempo e sulla società odierna. E’ tutto poi così cambiato? Sentiremo parlare di amori tragico - comici, di un vecchio porco che decise di lasciare la campagna per entrare a far parte della “buona società”, dell’onestà delle nonne di un tempo, quando l’onore e la dignità non potevano essere comprati da alcun gioiello, o almeno così sembrava. Non mancheranno momenti melanconici, il tempo che passa e scorre senza possibilità di essere fermato, rappresentato dall’inesorabile canto di un uccellino di legno di un orologio a cucù, che scandisce le ore, i giorni, gli anni… Un dialogo, più che un monologo, con il celebre poeta romano che con la sua ironia e la pungente satira è riuscito a raccontare oltre cinquanta anni di cronaca italiana.

"Grande successo per l’esilarante Dialoghi con Trilussa al noto teatro Potlach di Fara in Sabina. L’attrice Daniela Regnoli narra le poesie di Trilussa, imprimendo in modo magistrale passato e presente e coinvolgendo gli spettatori che hanno interagito con viva partecipazione durante la sua performance. L’abile regia di Pino Di Buduo e lo spazio essenziale ma ben disposto del teatro sono sicuramente anche la chiave di volta della rappresentazione." Roberto Naponiello - Il Saggio

 



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